25 maggio 1887, nasce Francesco Forgione: Padre Pio da Pietrelcina

Il Caudino
25 maggio 1887, nasce Francesco Forgione: Padre Pio da Pietrelcina
Da Terranova e dalla Valle Caudina sino a San Giovanni Rotondo

Attorno all’itinerario umano e spirituale di Padre Pio da Pietrelcina, al secolo Francesco Forgione, si è realizzata una delle più popolari e coinvolgenti esperienze di devozione religiosa dell’Italia del Novecento. Per un cinquantennio, dal 1918 al 1968, senza mai spostarsi dal convento di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Rotondo, Padre Pio ha attratto generazioni di italiani e stranieri, che si recavano nel Gargano per incontrare colui che amava definirsi “un povero frate che prega”, convinto che “la preghiera è la migliore arma che abbiamo, una chiave per aprire il cuore di Dio”. Quanti hanno visitato il piccolo centro pugliese si sono imbattuti in un prete cappuccino dall’esistenza segnata dalla semplicità, e per certi versi dalla ripetizione. Preghiera, celebrazione della messa, confessione e ascolto dei pellegrini hanno infatti costituito la quotidianità del santo per cinquant’anni. Alla semplicità della sua vita, tuttavia, si sono accompagnati doni spirituali ed esperienze mistiche, tutti di carattere soprannaturale.
Francesco nacque in una famiglia di contadini meridionali, proprietari di un appezzamento di terra di poco meno di un ettaro distante un’ora di cammino dal paese di Pietrelcina. Grazio e Maria Giuseppina De Nunzio misero al mondo otto figli. Francesco, nato il 25 maggio 1887, fu il quarto, ma i due fratelli prima di lui morirono in tenera età, e così pureMario, l’ultimo. Nonostante non fossero poveri, i Forgione non poterono garantire ai propri figli le cure necessarie, né farli studiare. La vita a Pietrelcina era scandita dai ritmi della terra, della famiglia, della religione. Si viveva una religiosità semplice e assidua. La vocazione di Francesco si sviluppò con naturalezza, senza essere legata a eventi straordinari. Di carattere mite e obbediente, il bambino amava frequentare la chiesa e le celebrazioni. Usava soprattutto trattenersi nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, nella cappella di Sant’Anna, dove sono custodite le reliquie di Pio I, papa dal 140 al 155. La frequentazione e la simpatia per un giovane cappuccino che si recava spesso a Pietrelcina, insieme alla devozione francescana della madre, fecero nascere in Francesco il desiderio di “farsi frate”, e di imitare “quel prete con la barba”. La famiglia prese sul serio tale volontà, e investì i pochi averi nell’istruzione del ragazzo, che venne affidata a un prete del paese.
Il 6 gennaio 1903 entrò nel convento di Morcone. Dopo il noviziato venne trasferito nel convento di Sant’Elia a Pianisi, in provincia di Campobasso. La professione solenne è del gennaio 1907, l’ordinazione del 10 agosto 1910. L’inizio della vita comunitaria e conventuale venne però rinviato a causa delle precarie condizioni di salute del giovane sacerdote, momentaneamente destinato dai superiori a Pietrelcina. Lì Padre Pio trascorse sei anni, prima di essere inviato a Foggia e quindi a San Giovanni Rotondo. Gli anni della giovinezza, dello studio, del noviziato e della preparazione non furono assolutamente facili per frate Pio, tutti segnati dai problemi di salute e dal moltiplicarsi dei segni. Sogni e visioni, complessi e ricchi di simbolismi, anticiparono quello che gli sarebbe occorso lungo tutta la vita. Tali esperienze sono note grazie alla corposa corrispondenza scambiata dal frate con il suo direttore spirituale e con il confessore. Centinaia di lettere, tutte pubblicate, scritte prima della proibizione di intrattenere rapporti epistolari che lo avrebbe raggiunto nel 1922. In questa corrispondenza intima Pio racconta il suo combattimento con il diavolo affrontato, talvolta, anche fisicamente. Incoraggiamenti gli vennero da apparizioni di Gesù e di sua madre. Ma il giovane Pio non amava esternare tali manifestazioni, né vantarsene. Un senso di timore e di inadeguatezza per l’avventura spirituale di cui era protagonista lo avrebbe accompagnato sempre. È dunque soltanto attraverso la corrispondenza e le testimonianze indirette che è possibile conoscere questi aspetti del suo itinerario spirituale.
La sofferenza maggiore era causata dalla malattia. Padre Pio era affetto da una forma di tubercolosi polmonare che, in maniera alquanto misteriosa, si manifestava con particolare virulenza, durante i primi anni di sacerdozio, ogni volta che tentava di stabilirsi in un convento cappuccino. Di volta in volta i superiori gli consigliavano il ritorno a Pietrelcina. Nel paese natale, il suo servizio era doppio: la celebrazione della liturgia, e la direzione spirituale di alcuni fedeli, segnalati dagli stessi superiori e con i quali corrispondeva a distanza. Iniziarono così alcuni rapporti significativi, come quello con Raffaelina Cerase. Era tuttavia la celebrazione eucaristica il cuore della vita del religioso. È a partire dalla messa che si può comprendere il centro della spiritualità di Padre Pio. Egli, nella celebrazione, si immedesimava totalmente nel sacrificio eucaristico. Il mistero della Passione lo attraeva profondamente, e il suo desiderio profondo era partecipare il più pienamente possibile all’esperienza di sofferenza e di amore di Cristo.
Sempre più, nell’immedesimarsi, provava una viva commozione e condivideva il patimento fisico del suo Signore. Le celebrazioni di Padre Pio, che avrebbero attratto quotidianamente migliaia di persone a San Giovanni Rotondo, erano dunque estremamente lunghe, e caratterizzate da soste di preghiera, di adorazione, di estasi. “Tutto ciò che Gesù ha sofferto nella sua Passione” scrisse il Padre in una lettera “in modo inadeguato lo soffro anch’io, per quanto ciò sia possibile a una creatura umana. E questo nonostante i miei pochi meriti e solo per sua bontà”. Il mistero di immedesimazione nel Crocefisso si era infatti compiuto il 20 settembre 1918, sette secoli dopo la stimmatizzazione di Francesco di Assisi. Nel frattempo, Padre Pio era stato inviato a San Giovanni Rotondo. Le stimmate avrebbero procurato al religioso fama, seguito, dolore, e infinite polemiche. Importa sottolineare che tutto questo non fu da lui voluto. Anzi, Padre Pio tentò inizialmente di nascondere l’evento, e in seguito non lo ostentò mai. La formazione delle stimmate non poté tuttavia essere tenuta segreta, e la notizia si propagò rapidamente, attirando nel paesino garganico, all’epoca davvero piccolo e difficilmente raggiungibile, folle di fedeli e di curiosi. Le cinque ferite, alle mani, ai piedi e al costato, furono osservate e analizzate da non pochi medici e studiosi, specie agli inizi del fenomeno. I pareri di coloro che videro in queste lacerazioni, mai infettatesi nonostante la mancanza di medicazione, e mai cicatrizzate fino alla morte, un fatto di natura psicosomatica, spiegabile con la presenza di una nevrosi, di una suggestione, sono stati smentiti dall’evidenza.
Come è noto, il più autorevole parere scettico sulle ferite del cappuccino fu quello di Padre Agostino Gemelli. Egli mantenne sempre un atteggiamento di diffidenza nei confronti del frate, pur non avendo mai analizzato da vicino le stimmate. Il suo parere influenzò il giudizio di papa Pio XI, dopo che Benedetto XV aveva a più riprese mostrato fiducia nei confronti del frate di Pietrelcina. Il parere di Gemelli andò a suffragare le accuse di un gruppo di detrattori, guidati dal vescovo di Manfredonia Gagliardi.
Proprio tali accuse spinsero la Santa Sede a pronunciarsi. A partire dal 1922 il sant’Uffizio impose misure restrittive nei confronti del cappuccino, e dichiarò che non vi era alcuna certezza che i segni manifestati fossero di origine soprannaturale. Padre Pio dovette cambiare direttore spirituale, gli fu impedito di scrivere lettere, e divenne proibito mostrare le stimmate o parlarne. In seguito, dovette limitare le celebrazioni eucaristiche, in forma sempre più privata, a trenta minuti. Le tensioni durarono fino al 1933. Le decisioni dell’autorità provocarono reazioni di rifiuto tra la popolazione. I provvedimenti che lo colpirono gli provocarono dolore, ma mai una reazione ostile. Lungo tutta la vita – fatto che avrà un peso nel rapido svolgersi del processo di canonizzazione – accettò con piena obbedienza tutte le misure, spesso contraddittorie, impostegli dai superiori. Lo stesso sarebbe accaduto tra il 1960 e il 1964, quando analoghi provvedimenti sarebbero stati presi sulla base di sospetti relativi alla gestione dell’ospedale da lui fondato, e al grande numero di fedeli donne che lo cercavano. Per un periodo si susseguirono le visite apostoliche. I periodi di maggiore libertà furono legati ai pontificati di Pio XII, dal 1939 al 1958, e di Paolo VI, a partire dal 1963.
La sua personalità, del resto, non lasciava indifferenti. Il dono che più colpiva era quello dell’introspezione. Innumerevoli sono le testimonianze di quanti, recatisi a San Giovanni Rotondo per curiosità o con atteggiamenti diffidenti, hanno vissuto un’esperienza di conversione, basata sul pentimento e la confessione. Molti si sono sentiti raccontare da Padre Pio, pur provenendo da zone lontane e senza conoscerlo, le esperienze più personali della loro vita, e hanno iniziato un itinerario di pentimento. I fedeli erano impressionati dal potere di guarigione di Padre Pio. Anche qui, gli episodi sono numerosi. Vale la pena raccontarne uno.
L’intercessione di Padre Pio fu invocata per un bambino francese di sei anni, colpito da meningite cerebro-spinale, allo stadio terminale. La situazione fu portata a conoscenza di Padre Pio con un telegramma alle 13 e 30 del 29 gennaio 1957. La febbre lasciò il bambino alle 16. Quando il giorno dopo fu mostrata al piccolo l’immagine del cappuccino, egli disse di conoscerlo bene, essendo stato visitato da lui quello stesso giorno. È questo uno dei tanti episodi di “bilocazione”. Tra quanti hanno affermato di aver incontrato Padre Pio, che raramente è uscito dal convento dove risiedeva, vi è Don Luigi Orione, che riferì un colloquio con il santo avvenuto a Roma, in San Pietro.
Padre Pio aveva chiara la sua missione: partecipare della sofferenza del Crocifisso, e alleviare il dolore dei suoi contemporanei, riavvicinandoli a Dio. Perciò volle la realizzazione a San Giovanni Rotondo di una struttura ospedaliera di eccellenza, da costruirsi senza lesinare risorse, in grado di curare gratuitamente i più poveri. La Casa Sollievo della Sofferenza fu inaugurata il 5 maggio 1956. Ancora oggi è un polo ospedaliero d’avanguardia. In tutti i continenti, sorsero spontaneamente migliaia di gruppi di preghiera ispirati dal prete cappuccino che non li controllò direttamente, ma che furono favoriti da molti vescovi. Padre Pio si spense nella notte del 23 settembre 1968, a 81 anni.
Dopo il funerale, che vide una immensa partecipazione di popolo, fu annunciato che le stimmate erano scomparse in punto di morte, lasciando le parti completamente sane. Fino a pochi giorni prima della morte, ormai stanco e malato, aveva vissuto la sua giornata abituale. La sveglia alle cinque, la preghiera comunitaria, la messa con il popolo, l’interminabile processione di penitenti. Confessare più di cento persone al giorno. I fedeli attendevano per giorni di poter essere ricevuti, con un sistema di turni e di numeri. La sua santità è stata riconosciuta e proclamata solennemente dalla Chiesa il 16 giugno 2002, nella liturgia di canonizzazione presieduta da Giovanni Paolo II, l’unico papa ad avere conosciuto personalmente Padre Pio, e ad avere da lui invocato e ottenuto la guarigione per una collaboratrice, Wanda Poltawska. San Giovanni Rotondo è oggi la prima meta di pellegrinaggi d’Italia, con circa nove milioni di visitatori (dato del 2002) l’anno. Da tutti, san Pio continua a essere chiamato Padre Pio.

(famigliacristiana.it)