500 imprese rischiano la chiusura in provincia di Avellino
500 imprese rischiano la chiusura in provincia di Avellino. Gli ultimi dati Istat sulla crescita dei prezzi resta preoccupante e conferma che il percorso di rientro dell’inflazione è lento. I riscontri reali, poi, che i consumatori irpini, come nel resto del Paese, hanno quotidianamente sono decisamente ancora più negativi.
Situazione insoatenibile
Di questo passo, purtroppo, occorreranno diversi anni prima che la situazione diventi meno insostenibile per famiglie ed imprese”. Ad affermarlo è Giuseppe Marinelli, presidente provinciale di Confesercenti.
“L’Ufficio economico della nostra organizzazione nazionale – ha proseguito il dirgente dell’associazione – ha eleborato delle stime, sulla scorta dei dati ufficiali, secondo le quali nel 2023 non si andrà al di sotto di un dato dell’inflazione del 5,7% e soltanto nel 2026 si dovrebbe giungere ad un livello prossimo al 2%.
In un quadro simile, l’erosione del reddito disponibile dei cittadini proseguirà inesorabile. Nell’arco temporale tra il 2022 ed il 2025 dovrebbe aggirarsi intorno al 16%. Questo comporterà una ricaduta anche sulla ripresa dei consumi, che rallenta altrettanto: nel 2025 dovrebbero mancare ancora 18 miliardi di euro in Italia, rispetto ai livelli pre-pandemia. Per il settore del commercio, il rialzo dei prezzi e la conseguente contrazione dei consumi metterebbe a rischio chiusura, entro il 2023, complessivamente 73mila imprese del comparto. Nella sola nostra provincia si arriverebbe a quota 500. Una prospettiva più cupa delle valutazioni che soltanto qualche mese fa venivano effettuate”
Salvaguardia del potere di acquisto
“La priorità assoluta – ha concluso Marinelli – su cui le istituzioni dovranno intervenire è la salvaguardua del potere d’acquisto delle famiglie, che stanno ancora attingendo, dove possibile, alla riserva di risparmi per mantenere livelli di consumo stabili, ma che potrebbero decidere di effettuare ulteriori selezioni, visto che già le spese obbligate guidate dai prezzi degli energetici e, ad esempio, il pagamento di interessi crescenti sui mutui (con i continui aumenti dei tassi stabiliti dalla Bce), stanno spostando risorse verso voci incomprimibili”.