Airola: Inifnitamente sottile, il saluto a Franco Troiano

Giacomo Porrino saluta questa singolare e colta figura che è venuta a mancare all'affetto dei suoi cari nella giornata di ieri

Redazione
Airola:  Inifnitamente sottile,  il saluto a Franco Troiano

Airola: Inifnitamente sottile, il saluto a Franco Troiano ( di Giacomo Porrino) . Un luogo è un linguaggio, scriveva Manganelli nella sua prefazione di una delle edizioni del Flatland di Abbott. E Franco Troiano, ieri scomparso, è stato a suo modo un luogo dove portare l’intera esistenza nelle forme alfabetiche di un linguaggio interamente volto alla curiosità e alla conoscenza.

Franco non era un sapiente di professione, lo è stato per scelta consapevole e per alcuni versi coraggiosa. Generazioni di caudini l’hanno conosciuto per la sua attività di capostazione della ferrovia Benevento-Napoli, prima che questa smottasse nel dirupo dei molti nomi che ha successivamente assunto prima della sua sparizione.

Generazioni di studenti hanno conosciuto quel suo sorriso affilato e a tratti bonariamente salace. Una perfidia non ronchiosa, mai proditoria, ma esclusivamente volta al servizio di una informazione, di un aiuto non richiesto, della condivisione del sapere. Specialmente quando si rendeva conto della difficoltò di uno studente in difficoltà tra le indicazioni bibliografiche di qualche docente, non di rado imprecise e fuorvianti.

Perché Franco era anche questo. Un luogo, un linguaggio e un sorriso. Quel sorriso, prima canzonatorio e poi accogliente nell’aiuto che non ha mai fatto mancare. Perché Franco è stato uno dei più attenti conoscitori dell’universo della bibliofilia, un instancabile appassionato della cultura e della storia caudina in particolare.

L’ho conosciuto nel 1993, durante il Tommaso Giaquinto «ritrovato», e da allora abbiamo condiviso una comune e naturale vocazione per il rigore nell’approccio alle delicate questioni del recupero dei materiali della conoscenza e della storia.

Un rigore incorrotto, irrefragabile e per ciò stesso diretto alla inevitabile incomprensione dei mediocri che lo ritenevano scostante e spigoloso. Ma Franco non era naturalmente né l’uno né l’altro, era invece decisamente selettivo.

Perché ha sempre rivendicato il diritto inalienabile a scegliere di non sprecare il proprio tempo con coloro i quali, quel tempo, non lo meritavano. E non erano in pochi. E oggi ancor di più, come avemmo a commentare in uno dei nostri ultimi incontri, stante la legione pletoricamente inutile di arroganti espositori del niente, aspiranti studiosi, turisti del culturame, venditori di passerelle, banditori di corbellerie anagogiche sui quali spesso ci si divertiva a spiegare qualche rotolo di sarcasmo.

Se è vero che ogni linguaggio costruisce un luogo mentale e ogni luogo concettuale esige un proprio linguaggio, allora quello di Franco Troiano è stato certamente quello dei libri, passando per la numismatica, la cartografia fino alla rassegna fossilifera.

Entrare a casa sua era ogni volta varcare l’ingresso di una wunderkammer di ogni genere di mirabilia e singolarità, talvolta di rara importanza. Un autentico giardino di infanzia per una infanzia mai doma e fatta di quella bellezza infinita cara a Borges nella sua Biblioteca de Babel.

Proprio nel grande ordito della macchina metaforica borgesiana si può scorgere il senso della missione silenziosa di un uomo come lo è stato Franco. Il labirinto delle passioni nell’ordine impercettibile di una biblioteca resa cosmologia, il silenzio di chi sa come detenere la preziosità di quanto ha saputo conoscere, la felicità di chi ha saputo vivere transitando continuamente tra gli esagoni dell’universo della biblioteca di Borges e l’amore per la sua famiglia.

Che da oggi curerà la sua biblioteca con la stessa meticolosa attenzione, difendendola anzitutto da quei postulanti inadeguati che ne farebbero un pessimo uso arrecando danni permanenti alla storia di una vita.

Personalmente perdo un compagno prezioso e affettuoso, come le volte che mi esortava a pubblicare tutto quello che non riuscivo, sempre con nitida premura, con discrezione puntuale. Come un mio fraterno von Aschenbach ne La morte a Venezia di Mann.

Perdiamo tutti un vero Adam Krug vissuto nel cuore livido della provincia beneventana. Forse nemmeno a Nabokov sarebbe riuscito immaginare un Krug diverso dalla persona di Franco. La prova esistita che il collezionismo non è vacuo feticismo per disperanti senza destino, ma un vessillo di libertà della conoscenza e presidio di spartizione della bellezza.

Un giorno ci ritroveremo tutti in una di quelle celle esagonali nelle quali Borges costruisce la sua idea di universo. E ritroveremo Franco, intento a confrontare colophon e singolarità tipografiche con la stessa grazia che abbiamo avuto la buona sorte di conoscere. Contando il numero dei fogli infinitamente sottili, senza più l’insopportabile inconsistenza del saluto.