Attentati di Parigi: il diario di una giovane cervinarese
Lo scorso 13 novembre c’era anche una giovane cervinarese a Parigi durante i sanguinosi attentati. Questo è il suo diario.
“Una persona di provincia che si sposta in città. È la storia più comune della nostra epoca. Noi giovani ci trasferiamo un po’ per necessità, un po’ perchè siamo curiosi di ciò che troveremo ed un po’ perchè siamo stanchi di ciò che già conosciamo. Ne ho incontrati tanti di ragazzi che, come me, sono andati via e quando conosci un altro “nomade” si crea subito un forte legame. So che lui, chiunque sia, prova esattamente quello che provo io: è curioso di conoscere la nuova città in cui ha scelto di vivere; ha paura perchè non sa cosa gli riserverà quella nuova vita; è triste perchè non c’è sua madre a preparagli il suo piatto preferito, perchè gli manca il suo cane, perchè quando è giù di corda non può andarsi a bere una birra con gli amici che lo conoscono da sempre; è anche entusiasta di conoscere persone così lontane da lui e di poter scoprire parti di se stesso che non avrebbe mai immaginato. Io ho avuto la fortuna di essere una “nomade” a Parigi, tra me e questa città è scattata subito la scintilla come quando indossi un vestito e capisci che è proprio quello che stavi cercando. La mia storia non ha niente di speciale, solo una delle tante. Hemingway molti anni prima di me scriveva: “Parigi è una festa”.
Venerdì 13 Novembre. La somma delle casualità che determinano gli eventi ha fatto in modo che io non assistessi a quella carneficina e che mi trovassi al sicuro da ogni pericolo. Questo, purtroppo, non vuol dire che non mi abbiano ferita. Sono ferita e sanguino. Nel vedere le scene alla televisione ero sconcertata, non mi sono mai sentita così impotente, così inutile. Mi è apparso subito chiaro il potere del terrorismo. Credo che il trucco stia tutto nella parola “noi”. Ci siamo “noi”: noi che amiamo la vita, la musica, che ci svaghiamo andando allo stadio, noi che il Venerdì andiamo a mangiare fuori con gli amici, che crediamo nell’immortalità delle idee; dall’altra parte ci sono “loro” che credono (o dicono di credere) in un Dio bizzarro, che credono nel potere delle armi e non in quello delle idee, quelli che scelgono di bruciare il dono più prezioso che è stato dato loro: la vita. La sera della tragedia hanno ucciso solo alcuni di “noi” ma metaforicamente ci hanno colpiti tutti perchè è stato un attentato alla libertà, all’ uguaglianza e alla fraternità, valori che non sono solo della Francia ma di tutta l’Europa, fondamento della democrazia. Ci hanno colpiti tutti perchè adesso, almeno per un pò, nessuno riuscirà ad andare allo stadio con la stessa leggerezza; avremoun sussulto di paura quando, mentre siamo a bere al bar, sentiremo un rumore insolito o qualcuno parlare a voce troppo alta; ci penseremo tutti un secondo in più prima di comprare i biglietti per quel concerto che ci piace tanto. Venerdì sera tanti messaggi, tante chiamate, quelle degli amici di sempre, della mia famiglia, ma quello che più mi ha sorpreso sono stati i messaggi delle persone conosciute a Parigi, anche gente con cui ho parlato solo una volta che mi chiedeva come stavo e se avevo bisogno di aiuto. Ho scoperto che dove c’è paura e terrore c’è inevitabilmente totale fratellanza tra quelli che provano la medesima paura e il medesimo terrore. Evidentemente è apparso a tutti chiaro che “noi” siamo legati in qualche modo e dobbiamo farci forza a vicenda, come si fa in famiglia quando c’è un lutto o un problema da risolvere.
Sabato, 14 Novembre. La città si era fermata: per le strade del centro non c’era nessuno, non si sentiva niente. La Tour Eiffel spenta, come a dire che la speranza era morta. Proprio come si fa in una grande famiglia, però, quando qualcuno perde la speranza c’è qualcun’altro a dargli forza. La Tour Eiffel era spenta mentre i monumenti più importanti al mondo accendevano i loro riflettori sulla Francia , prendendo i colori della bandiera francese.
Domenica, 15 Novembre. Si usciva timorosi per brevi passeggiate, qualche locale aperto, all’imbrunire un uomo camminava per le strade del centro sventolando la bandiera della Francia con orgoglio. Lunedì è ricominciata la vita, lenta, timorosa, come un uomo ferito dopo una battaglia. La mattina le cose iniziavano a tornare alla normalità, non totalmente però; il pomeriggio il Presidente invitava i cittadini a tornare alla normalità e a farsi coraggio, dopo più macchine, più persone, bambini per strada all’uscita da scuola; la sera la Tour Eiffel ha ripreso a luccicare. Chiedono a me e a tutti gli altri “nomadi” se torneremo a Parigi, forse è difficile da comprendere ma tutti ci sentiamo in dovere di non abbandonarla; sarebbe come voltare le spalle ad una madre adottiva solo perchè ammalata. Ringrazio la Francia, perchè mi ha ricordato quei valori che troppo spesso avevo dato per scontati. Spero che quanto è successo qualche giorno fa non faccia aumentare l’odio, bensì l’altruismo, l’amore per la vita e il rispetto per gli altri e per l’opinione degli altri. Sarò un’idealista ma sono convinta che per “loro” sarebbe la più grande sconfitta”.