Camorra Capitale, condannati a 230 anni gli esponenti del clan Pagnozzi
“I napoletani della Tuscolana”, li chiamavano negli ambienti criminali locali. L’organizzazione di Pagnozzi, i cui membri sono stati condannati a complessivi 230 anni di carcere, aveva “esportato il metodo intimidatorio adattandolo però – spiegano i magistrati della Direzione nazionale antimafia – sia alle caratteristiche dell’area geografica romana, sia agli equilibri che caratterizzano i rapporti tra i gruppi operanti nella Capitale, attuando un modus operandi diverso, più discreto fatto di incontri, accordi, e immissione di fussi economici incontrollati”. Il processo di appello nei confronti di 24 persone ha portato alla condanna di 21 di questi per accuse che vanno, a vario titolo, dall’associazione mafiosa all’associazione finalizzata al traffico illecito di droga, estorsioni, usura, reati contro la persona, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, fittizia intestazione di beni, illecita detenzione di armi, illecita concorrenza con violenza e minacce.
Le condanne più alte sono state inflitte a Domenico Pagnozzi (confermati i 30 anni di carcere decisi in primo grado), Massimiliano Colagrande (24 anni), Antonino Calì (21 anni), Stefano Fedeli (18 anni e 11 mesi), Marco De Rosa (18 anni e 10 mesi), Marco Pittaccio (16 anni e 8 mesi) e Claudio Celano (14 anni). L’organizzazione di stampo camorristico era capeggiata da Domenico Pagnozzi che, si legge nel Terzo Rapporto sulle Mafie del Lazio, “era stato per lungo tempo al vertice della omonima consorteria familiare operante nelle province di Avellino e Benevento, strettamente legata al clan dei Casalesi. Trasferitosi a Roma Pagnozzi vi aveva costituito un proprio e autonomo gruppo criminale caratterizzato dall’integrazione tra soggetti di origine campana e criminali romani, del tutto sganciato dalla originaria matrice camorristica”.