Carcere di Airola: altro detenuto tenta il suicidio
A poche ore di distanza da un analogo evento critico accaduto nel carcere minorile di Airola, un altro detenuto italiano ha tentato il suicidio ma ancora una volta è stato salvato dal tempestivo intervento degli Agenti di Polizia Penitenziaria in servizio. E’ accaduto ieri sera e a darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE che plaude al provvidenziale intervento degli Agenti di servizio. “L’uomo, un detenuto di 19 anni con precedenti per spaccio e associazione di stampo mafioso, ha cercato di impaccarsi con le lenzuola in bagno ma è stato salvato dal tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari. Soltanto grazie all’intervento provvidenziale degli Agenti di sezione si è evitato che l’estremo gesto avesse conseguenze”, evidenzia Donato Capece, segretario generale del SAPPE. “Il carcere non ha un Comandante di Polizia Penitenziaria in pianta stabile ed anche per questo paga lo scotto di una organizzazione dei servizi assai critica, nei quali gli eventi critici commessi dai detenuti (spesso ultradiciottenni appartenenti a famiglie e clan camorristi) sono all’ordine del giorno”.Donato Capece torna a sollecitare l’Amministrazione Penitenziaria a intervenire: “Quello di Airola è l’ennesimo grave evento critico che avviene in un carcere della Campani. Dovrebbe essere evidente a tutti che è necessario intervenire con urgenza per fronteggiare le costanti criticità penitenziarie. Il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Per queste ragioni un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati. E’ proprio in questo contesto che viene affrontato il problema della prevenzione del suicidio nel nostro Paese. Ma ciò non impedisce, purtroppo, che vi siano ristretti che scelgano liberamente di togliersi la vita durante la detenzione”.“Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 18mila tentati suicidi ed impedito che quasi 133mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze”, sottolinea ancora Capece.Netta è infine la denuncia del SAPPE sulle criticità nelle carceri del Paese: “Da tempo il SAPPE ha denunciato, inascoltato, che la sicurezza interna delle carceri è stata annientata da provvedimenti scellerati come la vigilanza dinamica e il regime aperto, l’aver tolto le sentinelle della Polizia Penitenziaria di sorveglianza dalle mura di cinta delle carceri, la mancanza di personale – visto che le nuove assunzioni non compensano il personale che va in pensione e che è dispensato dal servizio per infermità -, il mancato finanziamento per i servizi anti intrusione e anti scavalcamento. Lasciare le celle aperte più di 8 ore al giorno senza far fare nulla ai detenuti – ne lavorare, ne studiare, ne essere impegnati in una qualsiasi attività – è controproducente perché lascia i detenuti nell’apatia: non riconoscerlo vuol dire essere demagoghi ed ipocriti. La realtà è che sono state smantellate le politiche di sicurezza delle carceri preferendo una vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto, con detenuti fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno con controlli sporadici e occasionali, con detenuti di 25 anni che incomprensibilmente continuano a stare ristretti in carceri minorili. Mancano Agenti di Polizia Penitenziaria e se non accadono più tragedie più tragedie di quel che già avvengono è solamente grazie agli eroici poliziotti penitenziari, a cui va il nostro ringraziamento. Nelle carceri c’è ancora tanto da fare: ma senza abbassare l’asticella della sicurezza e della vigilanza, senza le quali ogni attività trattamentale è fine a se stessa e, dunque, non organica a realizzare un percorso di vera rieducazione del reo”.