Caso Milanese, la Procura di Milano dovrà rinnovare la richiesta di arresto
Gli atti che hanno portato all’arresto di Marco Milanese sono passati alla Procura del capoluogo lombardo. I magistrati milanesi avranno, a partire da oggi, venti giorni per rinnovare la richiesta di arresto per il consigliere politico di Tremonti. La stessa procedura sarà seguita per Meneguzzo (attualmente ai domiciliari), per il quale, però, la decisone è attesa per la prossima settimana. L’inchiesta sul Mose, intanto, sembra destinata, sul versante milanese, ad arricchire la guerra che ha come protagonisti, da mesi, il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Alfredo Robledo, il quale stando a indiscrezioni potrebbe rivolgersi ancora una volta al Csm per ‘contestare’ le modalità di assegnazione del fascicolo. Con una lunga motivazione, infatti, Bruti lo ha escluso dalla trattazione del filone di questa inchiesta, assegnando il fascicolo a se stesso e coassegnandolo ai pm Orsi e Pellicano. Intanto, un mese dopo lo tsunami giudiziario per il Mose, il rischio di reiterazione del reato ha portato in carcere Marco Milanese. L’accusa è di corruzione. Una sorta di provvedimento annunciato visto che il nome di Milanese compariva più volte nell’ordinanza firmata dal Gip di Venezia Alberto Scaramuzza. Milanese, però, non era stato destinatario di alcun provvedimento restrittivo, nelle oltre 700 pagine dell’ordinanza, compariva come il destinatario di una ‘mazzetta’ da 500mila euro che il Consorzio Venezia Nuova, allora presieduto da Giovanni Mazzacurati gli avrebbe fatto avere tramite Roberto Meneguzzo. Lo scopo della dazione era di far sì che nelle decisioni del Cipe entrasse la voce Mose per avere nuovi stanziamenti pubblici per la prosecuzione della realizzazione delle barriere per difendere la città lagunare dalle acque alte eccezionali. I finanzieri hanno prelevato Milanese a Roma e gli hanno notificato l’ordinanza del Gip emessa stamane, dopo che il pool dei Pm Stefano Buccini, Stefano Ancillotto e Paola Tonini, ne avevano fatto richiesta il 10 giugno scorso. Il provvedimento è scattato per “sussistenti motivi di urgenza a provvedere”. Di fatto, Milanese, secondo la Procura veneziana, per la rete di alte conoscenze costruita nel mondo politico ed imprenditoriale avrebbe potuto reiterare il reato ai danni della pubblica amministrazione anche se non ne fa più parte da tempo. I 500mila euro che sarebbero finiti a Milanese, peraltro, entrano in una vicenda curiosa nel ‘mare magnum’ dell’inchiesta Mose. La Guardia di finanza arrivò negli uffici del Cvn per iniziare una verifica fiscale proprio nel giorno previsto per il passaggio di mano del denaro. L’episodio è nelle carte dell’inchiesta dove in un interrogatorio Claudia Minutillo, ex segretaria personale di Giancarlo Galan, e una delle figure chiave dell’inchiesta, racconta come “quella volta la Guardia di Finanza arrivò in Consorzio Venezia Nuova a fare l’ispezione” e Luciano Neri, uomo di fiducia di Mazzacurati, anch’egli indagato, “aveva nel cassetto 500mila euro da consegnare, dissero, perchè io non c’ero…”. “Mi raccontarono ‘pensa che c’era Neri che aveva nel cassetto 500mila euro da consegnare a Marco Milanese per Tremonti, e li buttò dietro l’armadio'”. Poi il passaggio di denaro fu “perfezionato” a Milano. In verità, Milanese, attraverso i suoi legali, ha sempre respinto ogni suo coinvolgimento nella vicenda Mose.
Antonio Marro