Centossessantatré,l’autonomia differenziata degli irresponsabili e degli indifferenti
Un'analisi spietata di quello che sta succedendo
( di Giacomo Porrino ) Centossessantatré,l’autonomia differenziata degli irresponsabili e degli indifferenti. Se ne sta parlando variamente in questi giorni, sempre meno di quanto sarebbe necessario, non sempre in maniera esaustiva, talvolta volutamente soffocata nei fumi della propaganda.
Tuttavia plausibilmente in pochi si saranno accorti di come la cosiddetta autonomia differenziata nasca in realtà sotto le bombe che il generale Cialdini scaglia contro il forte di Gaeta, estremo baluardo del morente Regno di Napoli nel 1861, anche a trattative di capitolazione in corso.
Storia di spoliazione sistematica
Quegli ordigni distruggono un mondo ma non hanno lo scopo di costruirne un altro. Ed è proprio in quel momento che inizia una lunga e dolorosa storia di spoliazione sistematica delle strutture economiche e sociali dell’ex Regno di Napoli.
È in quel momento che inizia la vicenda di quello che nel corso di un secolo e mezzo ha avuto nomi ogni volta diversi, ma con lo stesso volto. Uccidere una terra col veleno a lento rilascio della povertà. È la pianificazione dell’impoverimento, l’allestimento del suburbio in cui alloggiare quelli che dovevano solo essere cittadini di rango inferiore.
E dunque la geografia di una parte d’Europa decade in reclusione di massa, si costruisce quindi quel campo di concentramento chiamato Mezzogiorno d’Italia, la cui sola possibilità di fuga sta nel fatto di essere disposti a farsi braccia per qualcun altro.
La prima volta della questione meridionale
È già autonomia differenziata nel 1873 quel complesso di indicatori già assai evidenti che portano il deputato radicale lombardo Billia a parlare per la prima volta di «questione meridionale». È già autonomia differenziata nel 1875 la desolazione dello smantellamento del complesso industriale avanzato borbonico, che determina la necessità delle prime commissioni parlamentari di inchiesta sullo stato delle province meridionali del nuovo Regno d’Italia.
È già autonomia differenziata, nel momento della unificazione, la crescita della pressione fiscale ai danni del Meridione di oltre il trenta per cento in più rispetto all’anno precedente, al solo scopo di rifondere le ingenti esposizioni debitorie del Regno di Piemonte.
È già autonomia differenziata la scellerata decisione dei governi conservatori di De Pretis, a partire dal 1877 fino al 1887, di imporre quelle misure protezionistiche tese ad avvantaggiare e consolidare le nuove strutture industriali del Settentrione a danno della agricoltura meridionale, nel frattempo divenuta la sola risorsa economica dell’ex regno borbonico.
E si determina in questo modo lo sbriciolamento definitivo degli interessi economici del Meridione, sacrificati con disinvoltura per sviluppare unicamente le neonate produzioni industriali a Nord. L’impoverimento del Sud diventa a questo punto strutturale, risultante di una scelta politica nitida, disinvolta, disinibita, atroce.
Il ventennio fascista
È già autonomia differenziata il ventennio fascista. Che impone la quiescenza e il conseguente ulteriore arretramento delle residue strutture economiche meridionali, già profondamente provate dal precedente cinquantennio di disastrose politiche conservatrici.
Il regime si impegna unicamente alla creazione di una classe media impiegatizia al fine di disarticolare l’unità del proletariato di origine terriera. La sola attenzione nei riguardi del Meridione, durante gli anni della dittatura fascista, è solo quella che porta a promuovere la demografia incontrollata di marca bellicista e la costruzione della retorica patriottarda ancor più pervasiva e violenta di quella sabauda. Del resto niente, se non ulteriore impoverimento e arretramento.
È già autonomia differenziata la Cassa per il Mezzogiorno. Che, a parte ben poche eccezioni, altro non è se non la cattedrale dove sono celebrati tutti quei fenomeni corruttivi della quasi totalità della classe dirigente meridionale e il suo addentellato padronale ed economico. La vecchia borghesia terriera e latifondista veste i panni della mellifluità democristiana allestendo la più grande macchina del consenso elettorale mai vista prima.
L’assassinio dei diritti individuali È il momento in cui i diritti individuali ancora una volta sono assassinati lungo le strade della formazione delle clientele. È quasi totale il silenzio colpevole dei centri di potere meridionali, agiti dal solo desiderio di far parte del potere spartitorio delle risorse pubbliche. Chi detenuto negli schemi del conformismo ipocrita. Chi invece mosso dalla irrefutabile vocazione di servire il principe di turno, spesso al solo scopo di farlo.
Clientele come metodo di governo
È già autonomia differenziata quando nell’immediato dopoguerra le clientele sono al contempo le difese e il metodo di governo dei destini della ignoranza egoista borghese contro le aspirazioni ideali delle masse alfabetizzate dalla cultura socialista e comunista.
È già autonomia differenziata l’Eurispes, quando questa certifica che tra il 2000 e il 2017, considerando il solo dato della percentuale della densità di popolazione, il Mezzogiorno è stato depredato di 840 miliardi di euro. Netti, peraltro. E quanti tra i cittadini del Sud sono a conoscenza di questo?
Quanti avranno votato con disinvoltura, anche durante le scorse consultazioni europee, per quei partiti responsabili di questo ciclopico ladrocinio? Si faccia una rapido ripasso di storia politica recente e sarà possibile farsene una idea. Non è complicato.
È già autonomia differenziata quando il governo attuale si rifiuta pervicacemente di sbloccare i fondi FSC (Fondi di Sviluppo e Coesione), determinando una ulteriore discriminazione economica su base essenzialmente territoriale, con il fine miserabile di ostacolare una giunta regionale di colore teoricamente avverso, prendendo in ostaggio intere comunità locali che rischiano il dissesto finanziario.
E nemmeno si può dire che i cittadini di queste comunità siano le vittime di questa vendetta trasversale, avendo in massa costoro votato per i partiti attualmente al governo. Dovrebbero sapere finalmente quanto pesa quella crocetta che segnano ogni volta nella cabina elettorale. Dovrebbero, se fossero ancora muniti di alfabetizzazione civica.
È già autonomia differenziata l’analfabetismo della indifferenza contemporanea. Della cosiddetta autonomia differenziata si è già detto molto, ma evidentemente non a sufficienza visto il numero di voti che un partito come la Lega (Nord o Salvini premier non fa alcuna differenza, se ne conoscono bene le origini) incredibilmente ancora registra qua e là.
Un dispositivo tartufesco che mira dichiaratamente a disarticolare l’unità nazionale già peraltro disastrosamente minata dalla famigerata modifica del titolo V della Costituzione varata dal governo Amato nel 2001. Le conseguenze profondamente negative di questa sciagurata decisione sono quelle che portano a rendere tutti gli italiani non più cittadini di uno stato unitario ma semplicemente residenti di una qualche regione.
Gli assistenti di Mengele rassicurano i condannati a morte
La differenza è molto chiara. Non è precisamente un trionfo di astuzia e di lungimiranza amputarsi le gambe affermando che in questo modo si potrà correre molto più velocemente, come euforicamente e ipocritamente affermano ansiosi i trombettieri di regime. Dire alle comunità locali meridionali che questo provvedimento, appena approvato da un parlamento così conciato, sarebbe nel loro interesse ricorda molto gli assistenti di Mengele quando rassicuravano i poveri condannati a morte in pigiama a strisce nei campi dì sterminio nazisti, che quelle spaventose misture di veleni pronte per essere somministrate, con l’obbligo delle armi, avevano il fine di preservare la loro salute. Con una carezza e un sorriso.
La contrarietà al regionalismo
E che dire di un Presidente del Consiglio che esattamente dieci anni fa dichiarava tutta la sua contrarietà al regionalismo, nientemeno proponendo l’abolizione delle regioni? «Centri di spesa formidabili», affermava, «utilizzate dalla partitocrazia per moltiplicare indennità, carrozzoni, consulenze e occasioni di malaffare lontano dai riflettori». E chi potrebbe dissentire? Ma qualcuno dovrebbe però ricordare al vociante capo del governo di come lei stessa sia stata parte di quelle formazioni politiche (Alleanza Nazionale, prima e Popolo delle Libertà, poi) che di tali spartizioni partitocratiche ai danni dell’interesse pubblico erano tra i principali, indecorosi protagonisti.
Non è che siccome si fonda poi un partitino per mere speculazioni di posizionamento all’interno del potere, ci si possa rammendare una livrea di verginità politica che non è mai esistita. Sempre dieci anni fa, l’ineffabile Presidente del Consiglio afferma che «le regioni sono nate nel 1970 da un compromesso politico tra la DC e il PCI».
A parte l’inesattezza di uno schematismo sempliciotto che non avrebbe superato la valutazione del più benevolo professore in un qualunque esame di storia contemporanea, un dubbio si presenta bello nitido. Perché delle due, l’una.
O la signora Meloni ci confessa di essere sempre stata una comunista, magari a sua insaputa, oppure ha finito col confondere le regioni con i comuni di cui tanto esaltava le virtù. Ma qualcuno di buona volontà dovrebbe cercare di spiegarle che i comuni non sono regioni e che un nazionalista non è un indipendentista.
Le due cose insieme proprio non si tengono. A meno che l’unico movente della propria azione politica sia semplicemente la logica di conservazione del potere, in quanto tale. E quale che sia il prezzo che comporta. Anche a costo di compromettere quella stessa unità nazionale tanto stentoreamente protesa nelle piazze e nei lupanari televisivi.
Che dire infatti di tutto il ciarpame della retorica nazionalista istantaneamente dissolta sui campi dell’opportunismo poltronaro di potere? Dov’è finita tutto quella baldanza nel pronunciare la parola «nazione» a ogni occasione e oltre ogni limite di senso?
Le piccole patrie per piccoli interessi
È finita nella creazione di 22 piccole patrie, luoghi per tanti piccoli patrioti di altrettanti piccoli interessi. Niente più che questo. Perché, parliamoci chiaro, peggio della ridicola retorica nazionalista c’è solo la ridicola retorica nazionalista bugiarda. Quella che viene venduta con la stessa tecnica della candeggina al mercato. E il problema, come al solito, non è il venditore. Il problema è l’acquirente che si lascia ingannare.
E che dire dell’attuale presidente della regione Emilia Romagna e dell’attuale segretario del Partito Democratico? Sarà forse un caso, ma Bonaccini e Schlein sembrano decisamente le stesse persone che durante il governo Gentiloni hanno richiesto a gran voce, insieme al Veneto e alla Lombardia, il referendum per attuare fin da subito quella che già al tempo era chiamata autonomia differenziata.
Ebbene, visto che sembra si trattino proprio delle stesse persone, potrebbero quando magari avranno un minuto disponibile spiegarci come mai hanno invocato così tanto quello stesso provvedimento che oggi imputano alle stesse regioni, Veneto e Lombardia, con le quali già al tempo bussavano a danari, di fatto impoverendo altri territori?
La credibilità non si compra un tanto al chilo nel mercato delle buone intenzioni, e dunque sarebbe stato molto più credibile se, prima di protestare in Parlamento e in Piazza Santi Apostoli a Roma, avessero prima rinunciato a quella pretesa.
Non c’è davvero alcun motivo per essere fieri di aver contato anche un solo voto per quelle forze politiche che dichiaratamente perseguono interessi territoriali estranei, per non dire avversi, a quelli del Meridione.
Disperdendosi in tristi coriandoli di egoismo, si dividono le sorti stracciate di queste comunità ormai condannate. È drammatico quello che mostra incontestabilmente tutto questo, il disastro cognitivo che non vede più neanche il riflesso istintivo volto alla tutela degli interessi minimi della propria stessa sopravvivenza.
I mazzieri elettorali
Stesso discorso per i voti andati alle forze politiche alleate attualmente al governo. Non c’è davvero alcun motivo per stampare manifesti di giubilo post elettorale con lo stile tipicamente scomposto del tifoso ormai dimentico di essere cittadino. Manifesti che sono soltanto la conta degli scalpi elettorali che i mazzieri di turno recano in dono. Niente più che questo. Inutile illudersi, non ne esce bene nessuno, proprio nessuno.
Dall’altroieri i diritti dei cittadini italiani, o di quello che ne resta, saranno non più garantiti dalla eguaglianza davanti alla legge ma in base alla semplice appartenenza territoriale. È ancora uno Stato quello che non garantisce effettivamente l’accesso ai diritti in maniera equanime e senza alcuna forma discriminatoria?
È ancora un parlamentare credibile quello che vota leggiadro e disinvolto contro gli interessi fondamentali dei suoi stessi elettori? Di più, questi parlamentari l’hanno letta questa legge? Ne hanno compulsato perlomeno una silloge, un bignamino, un suntino preparato dai loro assistenti?
La vergogna sostenuta dai nostri parlamentari
Dove sono questi parlamentari, quelli caudini e telesini nel caso segnato? Dove sono? Abbiano la decenza e il coraggio di venire a dircelo in faccia come questa vergogna, che non hanno esitato a sostenere, si tratti in realtà di una meravigliosa occasione di riscatto per le sorti del Sud. Che vengano a dircelo in faccia, senza ripararsi dietro al paravento delle dichiarazioni preparate da un qualche ufficio stampa affidato a organi di stampa compiacenti.
E se non adesso, parlando di quanto non sono stati capaci di impedire come loro dovere nei confronti di queste terre, sicuramente vengano a dircelo quando sarà lanciato l’inevitabile referendum abrogativo. Quando se ne parlerà molto più massivamente di adesso, vittime noi tutti di una disinformazione scientificamente votata alla compressione di ogni forma di dibattito e di dissenso. Che vengano a dircelo in faccia, ché quella degli uomini liberi la troveranno senz’altro.
I parlamentari, eggià. Nella storia del parlamento unitario, da Torino fino a Roma, possiamo trovare sterminati riscontri delle testimonianze di uomini liberi e scherani a servizio, dei Matteotti e dei peones, degli intellettuali e degli alzadito a pagamento, di quelli che hanno servito la democrazia e di quelli che hanno servito se stessi con il pretesto della democrazia.
Che cosa narreranno alla loro discendenza coloro i quali avrebbero avuto la facoltà di opporsi a questo pattume della storia e hanno scelto di non farlo? Che cosa racconteranno a se stessi e alle loro discendenze tutti quegli elettori che hanno votato, magari in ignorante buona fede, per qualcuno che avrebbe dovuto tutelare le loro istanze senza poi farlo? Che cosa balbetteranno davanti allo specchio tutti quelli che hanno votato per qualcuno che avrà il solo compito di penalizzarli?
Vorrei tanto immaginare una realtà nella quale un parlamentare non sparisse nella responsabilità storica di chi non ha saputo o, peggio, voluto difendere un solo centimetro del proprio territorio, già pesantemente segnato dalla storia pregressa, a vantaggio di altri già inversamente premiati dalla stessa storia.
Una storia, quella dell’Italia unitaria, nata male e che si avvia a concludersi anche peggio. Perché l’hanno chiamata, vilmente e surrettiziamente, autonomia differenziata, ma in realtà è solo quello che da trentacinque anni circa si è sempre variamente cercato di realizzare.
Con ostinazione, determinazione, spregiudicatezza. La secessione dei ricchi contro i poveri. Di questo si tratta, che nessuno si illuda o si lasci illudere diversamente. Quella desertificazione delle regioni già brutalizzate a partire dal 1861 e che sono annegate nel mare delle false promesse e delle cattive coscienze. Federalismo, macroregioni, gabbie salariali: hanno provato a chiamarla in molti modi nel tempo. Ma quella sancita l’altroieri, in un tripudio immondo di sciatteria istituzionale, è la secessione.
La secessione dei ricchi contro i poveri
Quella peggiore, ripeto, la secessione dei ricchi contro i poveri. Resi poveri perché destinati a esserlo dalla politica e dalla inedia civile, e da oggi definitivamente poveri per legge. Sicché, quando qualche sagace a cottimo proverà a chiedere che cosa sia cambiato se in effetti, come detto prima, l’autonomia differenziata esiste già del 1861, non si potrà che rispondere niente.
Non è cambiato niente, ma è cambiato tutto il resto. Perché la differenza sta tutta qui. Se fino a ieri l’altro la verità era già nelle cose e nella storia, ma non aveva mai avuto un nome, oggi quella stessa storia ingiusta e terribile è stata sancita per legge.
Per legge, cioè, da adesso si è ufficialmente abbandonati e impoveriti senza molte altre possibilità di cavarsela. Come da un secolo e mezzo circa, oggi si è poveri non più solo per destino, si è poveri per legge. Con la complicità del 60% di meridionali che hanno scelto di non votare, dando forza a questo progetto, e a tutti i meridionali che hanno votato per i partiti responsabili di questo scempio. Congratulazioni, li attendo personalmente per consolarli, si fa per dire, quando si accorgeranno che cosa hanno contribuito a combinare. È solo una semplice questione di tempo.
E non ha alcuna importanza se a causa della impossibilità di finanziare i LEP (Livelli Essenziali di Prestazione), questo abominio non sarà attuabile concretamente. Perché dovrebbe essere chiaro a tutti come non riuscire a realizzare un atto abominevole non renda meno abominevole il principio che lo ha determinato. E che resta come una ferita profonda, per quanto mi riguarda inescusabile, inemendabile davanti al tribunale della storia.
Bolla comunicativa
Gli sminuitori di professione sono già attivi in queste ore nello spiegare leziosamente di come tutto questo sia solo una bolla comunicativa funzionale alla sola sopravvivenza politica di questo o quel capo politico. Ma non cambia proprio niente nella sostanza, purtroppo. Anzi, la peggiora se possibile.
Se infatti, per ipotesi, gli assassini nazisti non avessero avuto il danaro per realizzare i campi di concentramento, avrebbe questo reso meno atroce il principio che ne era fondamento? Se nella Francia del 1789 si fosse verificata una grave carenza di legname e metallo, rendendo impossibile di conseguenza la costruzione delle ghigliottine, avrebbe questo forse reso meno disumano il principio che le legittimava? Poi si può anche credere che l’asino di Buridano sia stato un campione di tuffi o che van Pitloo sia una invenzione della corporazione degli imbianchini. Si può credere ormai di tutto. A ciascuno è dato giocare a dadi con tutte le iperboli neurologiche di cui si ritiene disporre.
Il popolo legittima il proprio carnefice
Ma dopo di ciò, in tutto questo dov’è l’interesse generale di quel che un tempo avremmo chiamato popolo? E, soprattutto, il popolo dov’è? Dove abbandona il cervello quando ogni volta si reca a votare per legittimare il proprio carnefice? È ancora una comunità quella che neanche prova a capire la realtà che attraversa? È ancora un consesso civile quello che vede le proprie istituzioni scolastiche ridotte a spelonche di mediocrità dove intrattenere gli sfruttati di domani senza alcuna possibilità di accedere alla inderogabile elaborazione critica della propria esistenza?
Che speranze può mai avere una società che dà forza al braccio che si appresta a toglierle la vita? Che cosa pensare di tutti quelli che aprono le porte della propria casa ai ladri che puntualmente, essendo ladri, rubano tutto quello che possono?
Sono i segni, sempre più nitidi, di quel degrado antropologico che variamente nel tempo ho cercato di segnalare. Un degrado inarrestabile, una morte vigile che si illude di tenere in piedi solo l’illusione di una vita normale. Un sisma cognitivo che lascia sotto le sue macerie finanche il propio stesso destino. E forse è meglio così. Se la sorte è quella di non essere più umani, tanto meglio non essere, punto.
Viva l’Italia mancata, viva l’Italia che non sarà.