Cervinara, 29 novembre 1860: la rivolta dei bambini “borbonici”
Anche quella mattina faceva freddo. Il vento si infilava diritto nei vicoli e colpiva le povere case. Da oltre un mese Cervinara faceva parte del Regno d’Italia. Il 21 ottobre 1860, infatti, il plebiscito aveva sancito, in una “votazione stupenda”, come ebbe poi a scrivere Francesco De Sanctis, l’annessione del paese al governo savoiardo.
In realtà, però, le cose non andarono così ma furono un po’ diverse come accade spesso quando la Storia è scritta dai vincitori.
Sì, la consultazione fu vinta dai sostenitori di Vittorio Emanuele Secondo ma non ci fu quel plebiscito che il De Sanctis riporta nelle sue epistole anche perché poi gli eventi smentirono l’entusiasmo del letterato.
Il 29 novembre, torniamo dunque alla nostra storia, faceva parecchio freddo a Cervinara.
“‘O vient e terra” arrivava da est e annunciava che l’inverno era oramai alle porte. Come al solito sarebbe stata una stagione di stenti per i cervinaresi i quali avevano osservato le vicende dell’unificazione italiana con il solito distacco. Quando, però, le truppe garibaldine erano passate attraverso la Valle Caudina e avevano preso possesso dei centri del potere delegando alle famiglie della buona borghesia e dell’aristocrazia il governo, qualcosa era cambiato.
Covava sotto la cenere un risentimento nei confronti del nuovo sovrano. Le attese erano state tradite e poi i cervinaresi si rivelarono molto legati al governo dei Borbone.
Secondo alcune ricostruzioni, qualche famiglia nobiliare locale con forti legami a Napoli “istigava” i cittadini a non immischiarsi con i Savoia e, anzi, ad attuare una forma di resistenza passiva.
Fatto sta che le cose precipitarono in maniera rapida e imprevista.
E la rivolta partì con un fatto davvero singolare.
Il 29 novembre del 1860 alcuni bambini del “villaggio Pirozza” si stavano divertendo con un palla di stoffa. Incuranti del vento e del freddo, correvano, saltavano, si nascondevano. Decisero di fermarsi e di cambiare gioco. Si divisero in due gruppi: i garibaldini e i soldati del Re Francesco Secondo.
Iniziarono una battaglia e i “borbonici” ebbero la meglio.
Per festeggiare la vittoria, iniziarono ad urlare “Viva Francesco Secondo” presto imitati dai loro compagni di gioco.
Il tutto accadeva nel tardo pomeriggio di quello strano e freddo giovedì.
Saranno state le leggende che si raccontavano sulla sorte del giovane sovrano; saranno stati i tanti racconti sui presunti atroci delitti degli “invasori”. Non si sa bene il perché, né le carte processuali lo chiariscono ma ai bambini si associarono i grandi: donne, uomini di ogni età iniziarono a gridare a gran voce “Viva Francesco Secondo”.
A calmare gli animi ci pensarono subito le guardie che accorsero alla Pirozza e con bastoni e minacce di carabine sedarono grandi e piccini.
La freccia, però, era scoccata e in tutto il paese si iniziò a “mormorare” sulla repressione avvenuta nella frazione.
I cervinaresi scesero allora in strada in massa e si concentrarono in piazza Trescine (cosi come riportano le cronache depositate negli archivi di Stato di Avellino) armati di fucili e strumenti rurali. Guidati da Giuseppe Esposito, irruppero nella sede del Corpo di Guardia, si appropriarono delle armi e distrussero le effige di Casa Savoia. Non solo, abbatterono la bandiera italiana savoiarda e lacerarono il quadro del nuovo monarca.
Al loro posto, innalzarono la bandiera Borbonica.
La rivolta era iniziata. Ed era destinata a propagarsi in tutta la Valle Caudina con una velocità che nessuno si sarebbe mai aspettato.
I manifestanti, senza alcuna forza a contrastarli, divennero in poco tempo i padroni di Cervinara e reclamarono subito un nuovo governo municipale. Ci fu un corteo festante che girò per tutte le strade del paese portando in trionfo i quadri di Francesco Secondo e di sua moglie Maria Sofia.
Non fu solo festa però.
Durante la notte, molte famiglie furono assalite e le loro case derubate perché accusati di essere carbonari filo Savoia.
Il giorno successivo, la rivolta elesse una sorta di coordinamento. Fu mandando un messo comunale a girare per le frazioni ad annunciare l’imminente ritorno dei Borboni perché cosi avevano deciso a Varsavia i sovrani di mezza Europa. Ovviamente questa voce fu messa in giro ad arte per stimolare la sommossa.
La gente allora accorse per le strade e la festa continuò anche il giorno successivo, cioè il 30 novembre.
(continua)
Angelo Vaccariello
Le notizie di questa serie di articoli sono liberamente tratte da “Manifestazione antisabaude in Irpinia” – Quaderno numero 2 di Edoardo Spagnuolo. Le informazioni sono ricavate dall’Archivio di Stato di Avellino e dalle sentenze della Gran Corte Criminale.