Cervinara, Salvatore De Simone e una data triste
Il primo agosto del 1997 era una giornata caldissima. La notizia arrivò in serata. Salvatore non ce l’aveva fatta. Oltre dieci giorni di lotta in un letto di ospedale a Campobasso ma purtroppo il suo corpo, debilitato, non era riuscito a vincere la più importante delle battaglie: quella per la vita.
Parlare di lui dopo tanto tempo, diciotto anni, ci consente di avere sentimenti meno impetuosi, emozioni quasi più pacate.
Ecco allora che emerge il ricordo di un ragazzo come tanti, con la passione del calcio, dell’Avellino e di Vasco Rossi.
Salvatore De Simone giocava benissimo a calcio.
Era sempre conteso: “Chi sta in squadra con Salvatore? Sta con noi, no sta con noi”.
L’incidente avvenuto a metà luglio fu drammatico. Ricordo ancora le ore concitate. Una telefonata sulla Misericordia (allora non c’era il 118 e l’ambulanza era uno scassato “238”): “Correte, un incidente a via San Cosma”.
Arrivato lì l’autista e il soccorritore rimasero senza parole, quasi storditi per pochi attimi: nessuno si aspettava che nell’auto sbattuta contro quel muretto ci fosse proprio Salvatore. Furono pochi secondi, perché con le giuste manovre lo caricarono subito in ambulanza e corsero in maniera disperata all’ospedale Rummo di Benevento.
Una corsa che sembrò infinita ma che invece era durata poco più di dieci minuti.
Da lì, si decise di trasferirlo in rianimazione al Cardarelli di Campobasso. E iniziò la via Crucis di un ragazzo che ai Salomoni a Cervinara era amato da tutti.
Un po’ fuori le righe, un amico vero con una parola sola, lui era sempre al centro di tutti coloro che giravano intorno alla piazza e a don Nicola.
Già. Don Nicola. Come non ricordare che ogni giorno organizzava una decina di amici di Salvatore, li caricava nel Ducato che si era comprato per le attività della parrocchia e li portava a Campobasso. Ogni giorno. Che facesse caldo o meno; e la fila per andarci era lunghissima.
Ripercorrere quelle giornate, ancora oggi, fa male a chi scrive.
“Caro agli Dei è chi muore giovane” recita un antico adagio. Ma come lo spieghi alla famiglia? Alla sua fidanzata? Agli amici? A chi era sceso dalla Germania per vegliarlo giorno e notte? A chi gli metteva le canzoni di Vasco Rossi nelle cuffie sperando di stimolarlo.
Ma che dritto che è stato, Salvatore! Incurante di tutto e di tutti ha lasciato che il suo destino si compisse con il coraggio e la spensieratezza che solo lui poteva dimostrare.
Sorridente, guascone, gentile era per molti di noi un fratello più piccolo; uno di quelli che bastava telefonargli o andare a bussarlo a casa e sarebbe stato compagno di mille avventure.
Quante notti in tenda sulla Piana di Lauro. E i campi scuola con l’Azione Cattolica? Scrivo e i ricordi si affacciano prepotenti, senza ordine, alla mia mente.
Ho deciso di mettere giù questo breve ricordo dopo essermi consultato con Carmine, il fratello più grande; quello che divenne il fratello di tutti gli amici di Salvatore. Lui mi ha dato il suo via libera. Mi ha detto: “Ricorda chi era Salvatore”.
Nella mente e nel cuore degli amici chi fosse è chiaro a tutti. Le mie parole, con ogni probabilità sono inutili e un po’ retoriche. E’ giusto però ricordare un uomo strappato via da questo mondo troppo presto. Cervinara ha la memoria corta, ma chi lo ha conosciuto non dimentica.
Le Marlboro, la birra, le canzoni di Vasco Rossi, le gite in montagna, il tifo per l’Avellino, il concerto, le uscite notturne, l’impegno nell’Azione Cattolica, i divertenti litigi con il parroco. Salvatore era tutto questo. Almeno solo una parte di questo.
Quel primo agosto di diciotto anni fa per tanti di noi finì l’adolescenza. La sua morte ci fece piombare nell’età adulta senza che nessuno lo avesse chiesto.
Un trauma che la comunità non è mai riuscite ad assorbire fino in fondo. A me restano le parole in lacrime della madre. Dure, di pietra, come solo quelle di una mamma che perdono un figlio possono essere: “Mi avevi detto che sarebbe tornato”, mi disse quando andammo ad abbracciarla.
Mi piace pensare che in quei momenti Salvatore non sia mai stato solo. Certo, c’erano gli amici, i familiari e tutti coloro che gli volevano bene.
Rubando le parole ad una canzone di Lucio Dalla, Ayrton, mi piace pensare che, ad un certo punto, lui abbia parlato con Qualcuno dicendogli: “Mi hai detto: chiudi gli occhi e riposa. Ed io ho chiuso gli occhi…”
Angelo Vaccariello
@angelismi