Coronavirus: la fase 2 e l’incognita asintomatici

Redazione
Coronavirus: la fase 2 e l’incognita asintomatici
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La fase 2 e l’incognita asintomatici. C’è un’incognita che incombe su questo avvio della fase 2: quanti sono gli asintomatici  nel Paese? Nessuno lo sa con certezza. Quanto potenziale infettivo da oggi  si potrà liberare nelle strade delle nostre città per il rientro al lavoro, per fare spesa o per visitare (a distanza di sicurezza!) congiunti e affini?

Qualcuno stima che le infezioni degli asintomatici possano rappresentare circa l’80% dei casi accertati di Covid-19, ma sono appunto stime basate su modelli matematici. «Gli asintomatici sono sicuramente un esercito ,spiega Matteo Bassetti, direttore della Clinica malattie infettive al Policlinico S. Martino di Genova, l’unico modo per capire quanti siano sul numero degli attuali casi è fare le analisi sierologiche, i test, a tappeto.

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Credo che i 150mila test a campione sulla popolazione italiana, avviati oggi dal Governo, siano un ottimo exit poll, per capire dal punto di vista statistico quanta gente è potenzialmente positiva nella popolazione e poi eventualmente rilevarli con il tampone.

Lo screening a tappeto permetterebbe di capire chi ha gli anticorpi IgG/IgM e dunque è stato a contatto con il virus». Il secondo punto è anche capire se, quanto e per quanto tempo gli asintomatici siano realmente infettivi: «Noi non sappiamo qual è la carica virale che questi potenziali “untori” hanno sul tampone, quanto siano contagiosi ,aggiunge Bassetti, è un dato non del tutto assodato, ma potenzialmente sono contagiosi ed è difficile rilevarli, perché non è detto che siano stati a contatto consapevole con qualcuno che si è poi ammalato.

Chi è stato contagiato in modo casuale (per esempio non tramite familiari, colleghi o conoscenti) non è in grado di indicare dove è avvenuto il contatto. Oggi gli asintomatici rappresentano un importante serbatoio virale, ma il distanziamento sociale e l’uso della mascherina dovrebbero assicurare che non contagino nessuno».

In un panorama così incerto è chiaro che convivere conil Coronavirus  significa prendersi la responsabilità della propria salute e di quella degli altri. «In questa seconda fase dell’emergenza, precisa Italo Francesco Angelillo, ordinario di Igiene alla Seconda Università di Napoli e presidente della Società italiana di Igiene – sarà essenziale la risposta capillare dei servizi di prevenzione e i programmi di sorveglianza che andranno realizzati in sinergia con i dipartimenti di Prevenzione e i distretti, fulcro del controllo della salute della popolazione».

Strutture con organici ridotti all’osso da anni di razionalizzazione delle risorse e tagli al personale, e che ora paradossalmente “grazie” alla pandemia tornano a essere centrali e a richiedere nuovi investimenti. «L’inchiesta epidemiologica, con screening e azioni di prevenzione, dev’essere standardizzata, perché non dobbiamo più farci sorprendere da eventuali altre ondate di contagio.

In autunno ci sarà la corsa al vaccino antinfluenzale, nel frattempo dobbiamo essere in grado di attuare la sorveglianza epidemiologica, tracciare i contatti, monitorare i pazienti» conclude Angelillo.