Cronaca: Omicidio boss Giuseppe Carlino, attesa per la sentenza
Innanzi alla Corte di Assise di Appello di Roma, presieduto dal Giudice Giancarlo De Cataldo, sono terminate le arringhe dei difensori che hanno cercato di indebolire il forte castello di accuse sviluppate dopo lunghi anni di indagini dalla direzione distrettuale antimafia di Roma rappresentata dai due Pubblici Ministeri Tescaroli e Cascini.
La vicenda processuale riguarda l’assassinio di Giuseppe Carlino, boss siciliano trasferitosi a Roma, dedito al narcotraffico internazionale, omicidio avvenuto a Torvaianica nel settembre 2001.
In primo grado furono condannati all’ergastolo il ritenuto mandante (Senese Michele, esponente storico del clan Moccia di Afragola e trasferitosi nella capitale dal 1980) e colui che fu ritenuto essere l’esecutore materiale (Pagnozzi Domenico, ritenuto essere il capo della cupola esistente nella capitale), mentre furono condannati ad anni 30 Clemente Fiore, Di Salvo Giovanni e Pisanelli Raffaele.
Le fonti di prova sono innanzitutto rappresentate dalle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, Riccardi e Carotenuto, i quali si autoacusano di aver partecipato ai preparativi dell’omicidio.
Agli atti ci sono anche le dichiarazioni di altri pentiti (Centore e Massaro) i quali hanno testimoniato in ordine alla stretta alleanza e la mutua assistenza tra Senese e Pagnozzi, anche in tema di omicidi.
A carico ci sono anche le risultanze dei tabulati telefonici che dimostrebbero i contatti frenetici tra i correi nei momenti antecedenti ed immediatamente successivi all’omicidio, mediante l’utilizzo di telefoni che hanno cessato di operare subito dopo la esecuzione.
Ma l’elemento di prova più forte che milita a favore dell’accusa è senza dubbio il dna di Pagnozzi Domenico, trovato su un fazzoletto rinvenuto nella macchina che sarebbe stata utilizzata per l’omicidio, prova che sinora è stata ritenuta schiacciante .
Se impressionante è stata la mole delle indagini svolte, compendiate in ben 70 mila pagine, altrettanta impressione ha suscitato all’ultima udienza la produzione difensiva di cui si è reso protagonista l’avvocato Dario Vannetiello del Foro di Napoli.
Il penalista ha chiesto ed ottenuto dalla Corte di assise di appello la acquisizione di ben 2.400 pagine, le quali vengono poste dalla difesa a sostegno degli argomenti e delle innovative tesi formulate dal difensore di Pagnozzi e di Clemente:
- i due pentiti Riccardi e Carotenuto sono per plurime e consistenti ragioni inattendibili;
- l’utenza cellulare, che aggancia il giorno dell’omicidio la cella di Torvanianica, non vi è prova che fosse in uso proprio al Pagnozzi;
- l’utenza in uso al Clemente non risulta aver agganciato la cella del luogo in cui avvenne l’omicidio;
- Clemente non risulta aver partecipato alla riunioni ove fu deciso e pianificato l’omicidio;
- non vi è prova che la macchina utilizzata per l’omicidio sia quella ove è stato rinvenuto il fazzoletto in quanto le particelle di piombo-bario-antimonio ivi rinvenute non sono univocamente indicative di polvere da sparo in quanto non sono perfettamente sferiche ;
- non vi è prova certa che il fazzoletto ove è stato trovato il dna di Pagnozzi sia proprio quello rinvenuto nella auto;
- non si può escludere che il fazzoletto sia stato contaminato;
- la prova scientifica del dna non potrebbe essere posta a base della sentenza di condanna in quanto non sono stati rispettati i protocolli internazionali in tema di fotografia, repertamento e conservazione del reperto;
- la perizia sul dna sarebbe in ogni caso nulla in quanto svolta in sede di incidente probatorio senza la partecipazione degli imputati;
- il teste oculare dell’omicidio descrive un killer avente caratteristiche fisiche diverse da quelle del Pagnozzi;
- sussistono elementi giuridici, in caso di condanna, di trasformare la condanna all’ergastolo inflitta al Pagnozzi in quella di anni 30 di reclusione.
Gli sforzi della difesa del boss irpino trapiantato a Roma, Pagnozzi Domenico, e di quella del suo uomo di fiducia, Clemente Fiore, sono stati senza precedenti non essendo stata sufficiente una sola giornata per esaurire la appassionata arringa.
In accoglimento di un’altra inusuale richiesta della difesa, la Corte ha acconsentito lo zoom sul volto di Pagnozzi che era collegato in video conferenza dalla casa circondariale di Sassari, essendo sottoposto al carcere duro: ciò al fine di consentire ai giudici di vedere i tratti somatici di Pagnozzi.
Nel collegio difensivo figurano gli avvocati Bruno Naso, Valeria Verrusio, Alfredo Gaito, Valeria Verrusio, Salvino Mondello, Marco Franco, Massimo Krogg, Alessandro De Federicis.
La sentenza, prevista per l’udienza del 29 gennaio, è attesissima sia per le nuove questioni giuridiche prospettate in tema di dna, sia per gli interessi in gioco, sia per l’attenzione mediatica che sta avendo il processo così detto camorra capitale in cui è sempre pesantemente coinvolto Pagnozzi Domenico.