Dalla Valle Caudina a Parigi: il racconto dell’orrore (e le farneticazioni social)

Il Caudino
Dalla Valle Caudina a Parigi: il racconto dell’orrore (e le farneticazioni social)

Parigi è una grande metropoli non è difficile quindi conoscere qualcuno che vive o saltuariamente frequenta la capitale francese. Parigi però in queste ore è diventata la capitale del terrore. L’attacco terroristico organizzato dall’Isis ancora una volta ha colpito il cuore dell’Europa. La morte sembra così lontana quando a morire sono i siriani o i poveri 224 passeggeri dell’aereo abbattuto proprio dai terroristi, si avvicina con il suo puzzo tremendo è allora ci svegliamo dal torpore. La reazione è purtroppo scandalosamente prevedibile. Un post su Fb, l‘hashtag giusto, un politically correct fastidioso poi il commento sempliciotto e delirante. Vi copio/incollo una selezione: “Radiamoli al suolo, La Chiudiamo le frontiere, L’Italia agli italiani, ecc”.
Non vi nascondo che anche io sono caduto in una di queste trappole, tipo dopo la strage di Charlie Hebdo. Ma stamattina ho cercato di ragionare e capire. Ho cercato di contattare subito un amico parigino ma che vive ancora nel ricordo della sua terra d’origine, la valle caudina. Per uno strano giro del destino ci siamo conosciuti su un social totalmente dedicato al design. Gli ho scritto stamattina su whatsapp e la sua risposta è stata tanto tremenda quando illuminante. Cosa puoi chiedere a chi sta vivendo momenti di terrore? Allora mi sono banalmente limitato ad un “Come stai? Tutto bene?”. Le sue parole: “Ale qua è l’inferno stanotte non abbiamo dormito un secondo, papà mi ha detto sembra come il terremoto dell’ottanta. Stamattina ci siamo visti con una ventina di amici del club, chi piangeva, chi urlava… due ragazzi musulmani che lavorano al bar non ci stavano siamo andati a prenderli a casa per farli stare con noi, forse si vergognavano”.
Gli ho scritto ancora ma non ha risposto più. Poco fa ho trovato un altro contatto con l’inferno. Un ragazzo conosciuto pochi mesi fa per Cervinarte, ha partecipato al contest di fotografia.
Poche righe anche con lui, è un glaciale “sono abituato ad aprire quel portone e trovare un mondo… Ora non so cosa troverò, ma certo non sarà lo stesso che c’era ieri”.
Ci siamo salutati mi ha detto che domani dovrebbe tornare in Italia anche se il sentimento che lo invade adesso è quello di restare. Allora mi sono fermato, ho chiuso lo smartphone e gli occhi. Come è vicina la morte, come è percepibile il terrore e la paura. Ho, per un attimo, pensato alle parole di questi ragazzi e alle stupidaggini dei social. Ho assaggiato la quotidianità di quel terrore, e la superficialità della reazione comoda, spaparanzata davanti al pc. La storia di questi ragazzi è uguale a quella di mille giovani siriani, ai parenti delle vittime russe, ai giovani nigeriani massacrati da Boko Haram. La paura e la morte non si misurano sui chilometri di distanza. Per combattere la paura, bisogna interrogarla. Io nel mio piccolo l’ho fatto, è stato tremendo. (foto dal web).

Alessandro Carofano
@Al_Carofano