“Desiderio e nostalgia: le stelle di San Lorenzo”
I poeti latini erano soliti usare una splendida espressione per indicare le stelle che cadono in estate: “labentia signa”, “segni scivolanti”.
La fine di una stella
L’astrofisica, tuttavia, ci insegna come quello spettacolo tanto caro ai bambini, agli innamorati e ai sognatori non sia caduta, né scivolamento. Bensì morte: la fine della vita di una stella.
E forse, forse si muore sempre un po’ dietro un desiderio. Dietro ogni desiderio sfumato o non appagato, col rischio di consumarsi dietro una vita orribilmente invisibile. Dietro un intimo, sofferto desiderare.
“Desiderare”: composto dalla particella privativa “de”, prefisso che sta per “mancanza”, “separazione”, e dal termine latino “sider, sideris”(“stella”). “Distanza dalle stelle”.
Quello spazio siderale, immensamente vuoto, che ci separa dagli astri. Quella distanza senza la quale non si sostanzierebbe un desiderio. Nessun desiderio. Una distanza, tuttavia, abissale, non colmabile, che è essa stessa essenza dello spingersi oltre.
Stelle assenti
E quel termine, “desiderio”, significherebbe nient’altro che, non a caso e letteralmente, “condizione in cui sono assenti le stelle”. La sua origine proviene, difatti, dal linguaggio degli antichi auruspici che, trovando il cielo coperto dalle nuvole, non erano in grado di compiere le loro funzioni divinatorie e di trarre, dall’osservazione delle stelle, le loro profezie.
In quei particolari momenti di assenza del cielo stellato, pertanto, si radicava in essi un profondo desiderio di stelle, destinato a proseguire sino al loro prossimo apparire.
Ma ancora, l’etimologia del termine ci rimanda altresì al “De bello gallico” di Cesare: “desiderantes” erano i soldati che attendevano, sotto le stelle, il ritorno di coloro che, dopo aver combattuto durante il giorno, non erano ancora rientrati dal campo di battaglia. Di qui, un secondo significato del verbo “desiderare”: stare sotto le stelle ad aspettare qualcuno.
La ricerca della propria stella
A ben vedere, e in qualunque accezione la si consideri, l’origine del termine sembra rimandare proprio ad una condizione di assenza dell’infinito. Di nostalgia. Di lontananza. Ad una mancanza che abita l’anima. Ma anche, in fondo, ad un atteggiamento di attesa e di ricerca della propria via. Della propria stella.
Mille volte dedicate, cantate, sognate: le stelle, lì. E qui, il nostro sguardo verso. Nel mezzo, uno spazio infinito di separazione, contemplazione e motore al tempo stesso. Ma altresì, vuoto incolmabile. Tensione struggente. Anelito verso l’alto. Tutta l’essenza di quello “streben” tanto caro alla filosofia romantica tedesca. E a noi.
Per Platone, il desiderio è rivoluzionario, perché crea quel che non si vede. Per il cuore di un uomo, invece, quel che non si vede, che continua ad abitare lontano, eppure così imperturbabilmente vicino, può essere quanto di più velenoso o distruttivo possa corroderlo. “De-sidero”, perché è proprio qui che siamo, mentre è altrove che vorremmo essere.
“De-sidero”, perché costretti ad indossare un paio di pazienti gambe terrestri, mentre ali d’uccello o coda di sirena sono quelle che vorremmo. “De-sidero”, perché non c’è nostalgia più bruciante di una scia luminosa passata troppo in fretta ad illuminare il cielo. Il nostro cielo.
“De- sidero”, perché in certe notti, in questa notte, anche guardare quel cielo e abbracciare, con esso, tutte le nostre mancanze, richiede un immenso atto di coraggio. Un coraggio che non tutti, non sempre, abbiamo. “De-sidero”, perché eternamente, mutuamente divisi in due, ancipiti: mente al presente, cuore all’assenza.
Piedi alla terra, sguardo alle stelle.
Sguardo alle stelle
Quelle stelle che, tuttavia, se destinate davvero a brillare, sarebbero capaci di illuminare finanche il più rabbuiato dei cieli, per ciascuno di noi. E allora, ancora una volta. Piedi alla terra. Sguardo alle stelle.
Serena Fierro