Diocesi Cerreto-Sant’Agata de’ Goti: Aperto il nuovo Anno Pastorale “Se non ora, quando? Se non io, chi?”
Il vescovo Mimmo: “Non seppelliamo la Parola del Vangelo, ma facciamola circolare nella nostra vita!”
Come in una storia raccontata in un libro, la parabola dei talenti, commentata dal vescovo Mimmo all’apertura dell’Anno Pastorale ieri sera presso il Centro Emmaus di Cerreto Sannita (dal titolo eloquente: “Se non ora, quando? Se non io, chi?”), si pone in una sorta di linea narrativa di continuità con la Lettera Pastorale “Coraggio! Alzati, ti chiama!”, vere e credibili coordinate per un impegno concreto nel cammino diocesano dei prossimi 3 anni. Il vescovo, nel commentare la parabola davanti agli operatori parrocchiali venuti da tutti i paesi della Diocesi, ha premuto innanzitutto sulla necessità di non imprigionare i talenti in un recinto, di non chiudere i doni di Dio in una cassaforte, ma di seminarli per farli fruttificare, di non sotterrarli in una buca, ma di mettere i propri carismi a disposizione di tutta la comunità per camminare ed osare insieme. “Dovremmo, di tanto in tanto, chiederci: chi abbiamo contagiato con la nostra fede, incoraggiato con la nostra speranza ed accompagnato con amore? La testimonianza che Gesù ci chiede è quella di non seppellire la Parola del Vangelo, ma di farla circolare nella nostra vita, di avere cura di quanto ci sta donando il Signore”.
La parabola dei talenti è proprio un invito a non avere paura delle sfide della vita. Perché la paura paralizza, può renderci perdenti per la paura di finire sconfitti. “Gesù, invece, c’insegna a non avere paura, a non fare paura e a liberare dalla paura. E, soprattutto, ci libera da quella che è la paura delle paure: la paura di Dio. E noi credenti non siamo semplicemente chiamati a custodire i doni di Dio nel senso di incatenarli, di nasconderli, di fermarli, di frenarli per prudenza, ma siamo chiamati a liberarli, a tirarli fuori, quelli nostri e quelli degli altri. Ogni persona che incontriamo, infatti, è un dono dal cielo da scoprire, da favorire, da incoraggiare. Nessuno è senza talenti, ma ognuno è talento di Dio per gli altri. Anche in quell’unico talento che Gesù ci affida c’è un dono di comunione”. Il Signore non dà a tutti gli stessi talenti, ma ripone in tutti la stessa fiducia e dona a tutti la stessa speranza. Ci conosce personalmente e ci affida quello che è giusto per noi. I talenti dati ai servi, dal padrone generoso e fiducioso, oltre a rappresentare le doti personali intellettuali e umane di ciascuno di noi, annunciano che ogni persona messa sulla nostra strada è un talento di Dio per noi, un tesoro messo nel nostro campo. “Ecco perché va accolta la presenza, che molte volte riteniamo scomoda, dell’altro. Ecco perché l’altare è anche l’altare della pazienza, è l’altare dell’aspettare ogni giorno i passi dell’altro, del fare sempre noi per primi il primo passo per ricucire delle relazioni andate in pezzi”. E don Mimmo cita anche un altro brano del Vangelo, quello sul perdonare il proprio fratello, che indica chiaramente il percorso da seguire. “Tu puoi intervenire nella vita di un altro e toccarlo nell’intimo, non in nome di un ruolo che hai o di una presunta verità, ma solo se la parola fratello è dentro di te e fa parte di te. I veri cristiani, infatti, sono coloro che non separano mai verità ed amore. La verità senza amore porta a tutti i conflitti, ma l’amore senza verità è sterile. Solo una fraternità reale – spiega don Mimmo – può legittimare il dialogo prima e il perdono poi. Dopo aver interrogato il tuo cuore, tu và e parla con il tuo fratello, fai il primo passo, non chiuderti in un silenzio ostile di risentimento e di egoismo, ma sii tu per primo a riallacciare la relazione. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello”. E guadagnare un fratello significa guadagnare un tesoro, un talento appunto. Per chiunque s’impegna e si sforza su questa strada ci saranno sempre le porte aperte. “In questa Chiesa – chiarisce il vescovo – c’è e ci sarà sempre posto per tutti, tranne che per quelli che sanno solo lapidare e seppellire”. Al termine della riflessione, i nuovi direttori degli Uffici di Curia, al lavoro dal 1 settembre, e il vicario generale mons. Antonio Di Meo hanno un po’ illustrato il cammino fin qui fatto e i passi che si vorrebbero compiere, in una collaborazione condivisa tra tutti gli Uffici e in un fare rete stabile e continuativo con tutti gli operatori parrocchiali.
Un’altra tappa di questo sogno di Chiesa, processo graduale di responsabilità e di corresponsabilità, di impegno e di accompagnamento nella cura dell’altro e del territorio, è stata toccata. Rinnovamento che non si può improvvisare, ma che ha bisogno di percorrere i propri tempi senza fretta, ma contemporaneamente senza sosta. Una Chiesa, dunque, sempre di più sulla strada che non vuole voltarsi dall’altra parte senza vedere, né sentire. Una Chiesa povera, inquieta, dinamica, creativa, controcorrente, dalle porte aperte, in uscita, samaritana. Una Chiesa formata sulla sinodalità, sull’ascolto e sullo sguardo, che sia presente ed incisiva sul territorio. Insomma una Chiesa umile di cuore che non abbia paura di alzarsi e di mettersi in movimento per la paura di sbagliare, per la paura di osare. Una Chiesa che fonda ogni azione, ogni gesto, ogni attenzione, ogni sensibilizzazione, sul linguaggio del Vangelo. L’Anno Pastorale è partito. La strada è tracciata per l’azione pastorale di questo presente. Presente che non è altro che, come ha concluso don Mimmo, “una risposta agli appelli che ci vengono dal futuro”.