Elezioni comunali, liste nei piccoli centri infarcite di militari per decine di giorno di congedo

Redazione
Elezioni comunali, liste nei piccoli centri infarcite di militari per decine di giorno di congedo
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Elezioni comunali, liste nei piccoli centri infarcite di militari per decine di giorno di congedo. Le distorsioni interpretative di leggi mettono in crisi il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni, contribuendo a quella disaffezione alla politica di cui spesso si parla a sproposito.

Ci si riferisce a quelle che ormai sono chiamate le “liste dei militari”, un meccanismo perfettamente legale con il quale migliaia di operatori delle forze dell’ordine, dell’esercito e non solo, ottengono decine di giorni di congedo retribuito senza fare praticamente nulla.

Il congedo per lavoratori e militari candidati

Per capire di cosa si tratti e perché si parla di vergogna nazionale, bisogna dire che ogni cittadino che gode dei diritti politici deve essere messo nelle condizioni di esercitare l’elettorato attivo e passivo: votare, candidarsi, sostenere la campagna elettorale.

In tal senso, la previsione di giorni di congedo per permettere di prendere parte alla campagna elettorale ai lavoratori che decidono di candidarsi e dare il loro contributo alla gestione della cosa pubblica.

Qual è il problema, dunque?  L’aspettativa per partecipare alla campagna elettorale è senza retribuzione per tutti i dipendenti, a eccezione degli appartenenti alle forze di polizia e ai corpi militari.

I militari candidati a elezioni per il Parlamento europeo, a elezioni politiche o amministrative possono svolgere liberamente attività politica e di propaganda al di fuori dell’ambiente militare e in abito civile. Essi sono posti in apposita licenza straordinaria per la durata della campagna elettorale.

Si tratta di un periodo totalmente retribuito, con la sola esclusione “delle indennità e dei compensi legati all’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa”, che dura per l’intera campagna elettorale e termina appunto due giorni prima delle elezioni.

E non finisce qui

La campagna elettorale dura di norma 30 giorni, ma il periodo di “riposo” per i militari può essere più ampio, perché, non appena il dipendente comunica al capo ufficio di aver accettato formalmente la candidatura, è “dispensato dall’esercizio di qualsivoglia attività, in attesa del collocamento formale in aspettativa…”.

Ricapitolando, dunque: un appartenente a corpi militari o di polizia che decida di candidarsi alle elezioni ha diritto a un periodo di sostanziale riposo retribuito che può arrivare fino a 45 / 50 giorni, tra congedi, licenze, aspettative o dispense dall’esercizio di ogni attività. Un dipendente pubblico o privato no.

Le liste dei militari: il vero problema

Il fenomeno esplode nel caso delle elezioni comunali. In linea generale, per presentare una lista elettorale a sostegno di un candidato sindaco è necessario raccogliere un certo numero di firme tra gli aventi diritto al voto in quel comune. Nei comuni con meno di mille abitanti non è necessario raccogliere firme per presentare una lista elettorale.

Ad appartenenti a un corpo militare/di polizia basterebbe cercare quando si tengono le elezioni in un comune con meno di mille abitanti, accordarsi con meno di una decina di commilitoni per presentare una lista per il suddetto comune.

Per i candidati ecco pronti una quarantina di giorni di congedo/licenza con piena retribuzione. Intendiamoci, non ci si riferisce a chi legittimamente vuole candidarsi alle Comunali per dare il proprio contributo alla vita amministrativa di una comunità.

Stiamo parlando ad esempio di decine di militari che vivono e risiedono a Roma, che si presentano con una lista per amministrare il comune di XXX, piccolo borgo delle aree interne della Basilicata, che magari non hanno visto nemmeno in cartolina.

Vi sembra impossibile?

Vi si propone qualche esempio concreto. Arpaise, piccolo comune della provincia di Benevento di circa settecento abitanti: ai nastri di partenza otto candidati sindaco, con otto liste e oltre settanta candidati, nella stragrande maggioranza residenti in altri comuni e appartenenti a corpi militari o di polizia; una media di un candidato ogni nove abitanti, uno ogni 5 votanti.

Cairano, comune in provincia di Avellino con 275 abitanti: cinque liste, cinquanta candidati, uno ogni 5 abitanti, uno ogni 3 votanti. Salcito è un comune in provincia di Campobasso che conta 630 abitanti: le liste sono nove.

A Campochiaro, sempre in Molise, per 750 abitanti ci sono otto liste con oltre 70 candidati. Uno dei casi più interessanti è quello di Macchia Valfortore, in provincia di Campobasso, comune nel quale alle ultime elezioni politiche hanno votato ben 200 aventi diritto. Le liste sono ben sette, i candidati settanta, con una media di uno ogni 2,8 elettori.

Il fenomeno delle liste dei militari non è nuovo né recente. Ci sono testimonianze di circa trenta anni fa di veri e propri gruppi organizzati, in grado di monitorare sistematicamente quali fossero i piccoli centri al voto, presentare le liste e godersi settimane su settimane di congedo retribuito.

Le limitazioni a tale pratica sono sostanzialmente inesistenti (c’è il divieto di operare per tre anni nella stessa circoscrizione in cui ci si candida, ma il riferimento è a Politiche ed Europee, appuntamenti in cui è praticamente impossibile mettere in atto il giochetto).

Perché nessuno interviene?

Ecco, ci sono diversi motivi. Il primo è che sarebbe tecnicamente impossibile, nonché antidemocratico, inserire limitazioni all’elettorato passivo, fondate sul “sospetto” che uno o più cittadini non siano “realmente interessati” a concorrere per il consiglio comunale di un qualunque comune italiano.

Inoltre, non si possono prevedere strumenti che limitino la partecipazione democratica dei cittadini in base alla loro appartenenza a un corpo di polizia o dell’esercito (ci sono già norme per disciplinarne i comportamenti e delimitarne il campo di azione).

Infine, va detto che la previsione dell’aspettativa retribuita per i cittadini che concorrono alla vita democratica della propria comunità non è concettualmente errata. Semmai lo è l’abuso.

Resterebbero i meccanismi di moral suasion, gli appelli alla responsabilità, la speranza che le persone si rendano conto di quanti danni facciano atteggiamenti e comportamenti di questo tipo.

Passare mesi in congedo a spese dei contribuenti italiani è il meno. Quello che davvero non è tollerabile è lo sfregio ai meccanismi democratici, un insulto verso tutti quei cittadini che alla politica nei piccoli centri dedicano tempo e risorse.