Elezioni provinciali, Mauro attacca: sistema lontano dagli elettori
Il prossimo 10 gennaio sono in programma le elezioni di II livello per il rinnovo del Consiglio Provinciale di Benevento eletto, per la prima volta, dopo l’entrata in vigore della L. 56 del 2014, a ottobre di due anni or sono. Alle urne sono chiamati unicamente gli amministratori locali, ovvero i sindaci e i consiglieri comunali dei settantotto comuni della provincia che potranno esprimere le loro preferenze ponderate, in funzione dell’ampiezza demografica del rispetto Comune, per eleggere i dieci rappresentanti che siederanno nel parlamentino sannita. Dopo la sonora bocciatura del Referendum del 4 dicembre, è necessario interrogarsi sulle assurdità create dalla riforma Del Rio e sull’opportunità complessiva di restituire sempre ai cittadini la possibilità di scegliere e di esprimersi in modo diretto. Le provincie, oggi, sono enti fantasma, da un lato, mantengono intatte quasi tutte le funzioni e le responsabilità di gestione del territorio, mentre, dall’altro, sono state defraudate delle risorse finanziarie per poterle espletarle: “sono un paradosso istituzionale e sono vittime di una visione arrogante e dilettantistica della politica renziana”. “L’esito elettorale del Referendum – ha commentato Domenico Mauro –, senza tener conto dalle posizioni delle due parti, ci obbliga a una riflessione ineludibile che negli ultimi tempi abbiano dato per scontata: la volontà popolare non può essere delegata a prescindere, ai cittadini occorre sempre offrire la facoltà di esprimere direttamente una preferenza, la propria volontà, il voto per l’uno o per l’altro candidato. La democrazia indiretta deresponsabilizza i cittadini e li allontana ancor di più dalle istituzioni. La crisi di rappresentanza dei partiti non si combatte sottraendo ai cittadini il diritto-dovere di scegliersi i propri governanti, a qualsiasi livello ma, solo costruendo una classe politica che sia effettivamente responsabile delle proprie azioni rispetto ai cittadini”. Forza Italia, si presenta a questo appuntamento elettorale con una lista composta da amministratori capaci, però, a mio avviso è auspicabile nei prossimi mesi rivedere la legge Del Rio a partire dalle modalità di scelta del Presidente e del Consiglio Provinciale”. “La revisione complessiva della Legge 56/2014 – ha precisato il coordinatore vicario Domenico Mauro – è necessaria per superare una impotenza di fatto;. Il destino dei 93 enti di vasta area è appeso a una piccola frase. La legge Delrio, al comma 51, inizia a riformare le province: “In attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione, le province sono disciplinate dalla presente legge”. Quest’attesa, dopo la bocciatura del Referendum, rischia di diventare biblica mentre i problemi delle province sono urgenti e immediati: nel 2016 alle provincie italiane sono stati tagliati altri 1,3 miliardi di euro e nel 2017 sono previsti ulteriori tagli per 650 milioni. Molte di esse, dal 1 gennaio di quest’anno non potranno più sostenere i costi per la manutenzione ordinarie delle scuole, a cominciare dalle bollette elettriche degli istituti secondari di secondo grado, e saranno costrette a dichiarare un inevitabile dissesto finanziario”. “E’ utile, liberandoci da inutili strumentalizzazioni, – ha concluso Mauro – ricordare come le provincie, oggi più di ieri, possono svolgere un ruolo di raccordo importantissimo tra comuni e regioni. Nel Sannio, ad esempio, per la sua morfologia e per le storiche carenze infrastrutturali di collegamento con il capoluogo regionale, l’ente provincia può rappresentare un interlocutore istituzionale vitale per tanti piccoli comuni che oggi devono affrontare l’impossibilità di gestire servizi essenziali o di pianificare e programmare perchè subiscono i tagli verticali delle rimesse statale e non possono sostituire una burocrazia sempre più senile, demotivata e formatasi in un anni lontani”. Faccio mio, quindi, il proposito di Achille Variati presidente dell’UPI, l’Unione delle Provincie Italiane, che recentemente ha dichiarato che le provincie non possono essere “ i becchini dei servizi per conto dello Stato”.