Farmacia: se i cittadini caudini diventano di serie B

Il Caudino
Farmacia: se i cittadini caudini diventano di serie B
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È vero: viviamo in un’epoca in cui il pullulare di populismi di ogni tipo ha preso il sopravvento: nessuno ne è immune, neanche la stampa. Ne consegue che, magari anche a ragione, la stampa locale è stata esortata dall’Autorità ad evitare talune polemiche sterili, soprattutto con riferimento al riassetto delle Farmacie dell’ASL; piuttosto, dovrebbe vedere – e non far passare sotto silenzio- le “azioni di razionalizzazione dei servizi, specialmente quando positive, poste in essere dalla Direzione Aziendale”.
Ci è stato, all’uopo, spiegato ciò che non riusciamo a capire, ovvero che l’insufficienza di servizi essenziali sul territorio è stata a lungo collegata alla ratio del pluriennale “blocco del turnover”, alla carenza di personale “altamente qualificato” idoneo ad assumere ruoli dirigenziali senza incorrere nel cumulo di cariche, alla necessità di recupero di “funzioni aziendali” obbligatorie, volte a “garantire la sicurezza e la parità di trattamento dei cittadini”, anche ove malati. Ebbene, è accaduto, poi, che, malgrado queste evidenti difficoltà, un’azione della pubblica amministrazione efficiente ed efficace, grazie all’universalizzazione del servizio di distribuzione dei farmaci, è riuscita a garantire  la fornitura dei medicinali nelle farmacie “sotto casa” (anche in periferia!!!). Tal “cosa buona e giusta” subisce oggi- in attuazione della normativa vigente- una battuta d’arresto in relazione ai farmaci oncologici, per fibrosi cistica e/o altre malattie gravissime e rare; codesti medicinali sono disponibili solo presso sedi centrali (nella specie: farmacia interdistrettuale del distretto di Avellino). La causa? Trattasi di farmaci di “nuova introduzione ” (necessitano di farmacovigilanza) o soggetti a “ restrizioni d’uso”.  Che significa? Qual è la ratio della normativa vigente, la cui applicazione porta alle conseguenze in questione? Forse che la vigilanza sugli effetti di un farmaco la si può effettuare solo se le farmacie periferiche non distribuiscono quel tipo di farmaco, (è forse più facile “monitorare” le reazioni dei pazienti allorquando si recano tutti ad Avellino, per fruire di cure?) O forse la logica delle “restrizioni d’uso” impone di impedire l’utilizzo generalizzato di quelle terapie, perché si teme che, se fossero distribuite “sotto casa”, troppi, anche i non-malati, potrebbero farne uso?
Probabilmente, in molti hanno capito il senso. Bene, io no. Non è mia intenzione individuare ipotetiche responsabilità in capo all’uno o all’altro pezzo dello Stato- apparato; men che mai mi interessa la “colpevolizzazione” morale dei responsabili di una brutta vicenda, della burocrazia, del Legislatore. Tuttavia, una riflessione “populista” va fatta: è chiaro che il “disservizio” in parola dipende da logiche “ragioneristiche”, o addirittura “politiche”, che, in concreto, vanno ad intaccare pesantemente la tutela del diritto alla salute, e creano una disparità di trattamento evidente tra i cittadini.
Noi tutti sapevamo che la riorganizzazione degli assetti della pubblica amministrazione di uno Stato “malato, depauperato e violentato”, – importando dei tagli necessari- avrebbe comportato la soppressione di taluni servizi; sapevamo pure, inevitabilmente, che i più penalizzati sarebbero stati i cittadini della periferia, della provincia; è chiaro: se sopprimi le sedi distaccate dei Tribunali, le locali sedi INPS, e/o tanti uffici PIU’ o MENO inutili dal territorio, finisci per porre in essere un sostanziale squilibrio nella fruizione dei relativi servizi da parte dell’utenza, creando, di fatto, dei cittadini di serie B, che dovranno ingegnarsi e sostenere costi aggiuntivi per l’esercizio dei propri diritti, anche costituzionalmente garantiti e protetti. Tanto premesso- e fuor di polemica- la domanda è questa: “Qual è il limite consentito?”; “Fin dove la logica dei tagli , del recupero di supposti sprechi può spingersi?”
Ebbene, se un limite c’è, dovrebbe coincidere con la massima tutela dei più deboli, ed i fruitori dei farmaci distribuibili solo nel capoluogo di provincia, giacchè affetti da patologie gravissime, sono davvero i più deboli tra i deboli. Ancor di più, se vivono in periferia. L’insensibilità verso il loro  disagio non significa solo creare “cittadini” (malati gravi!!!) di serie A e di serie B. No. Questa, indubbiamente, è una retrocessione in prima categoria!

Rosaria Ruggiero
gentedistratta.it