Gente distratta: I complici della violenza…
Quello che so sulla violenza di genere consumata in Valle Caudina è coperto da segreto professionale. Quali siano, invece, i “complici” occulti degli aguzzini delle donne, nei piccoli centri, è un segreto di Pulcinella…
Se è vero, come è vero, che la maggior parte delle violenze di genere si consumano tra le mura domestiche, ben si può rinvenire la causa del “silenzio” delle vittime nella mancata percezione cosciente di ciò che è amore e di ciò che, invece, è solo prevaricazione. È noto, infatti, che spesso non si denunciano gli autori dei maltrattamenti perché, per motivi antropologici, storici e culturali, le donne non comprendono che gli abusi fisici e psicologici, consumati a loro danno, costituiscono “mera violenza”, e non atti di “amore appassionato”, di “attenzioni distorte”; per questo perdonano, sopportano, addirittura si sentono “amate”, di fronte a reazioni di possesso patologico poste in essere dai propri compagni.
Il fenomeno che vuole l’assuefazione alla violenza come espressione di “femminilità” è magistralmente analizzato in un libro di Marìa Milagros Rivera Garretas, “Donne in relazione. La rivoluzione del femminismo”, che ben pone il problema dell’ “educazione” al centro del dibattito; infatti, abbattuto il pregiudizio per cui l’amore incondizionato può essere violento, – pur senza addebitare necessariamente all’ignoranza ed alla sudditanza psicologica le ragioni della “sopportazione”,- anche in ragione della trasversalità del triste fenomeno, che non riguarda solo “categorie sociali stereotipate” (la violenza sulle donne è “democratica”, colpisce appartenenti a svariate fasce culturali ed economiche!!!)-, dovrebbe essere più facile denunciare; ed è chiaro, in questa prospettiva, che gli auspicati “sportelli di ascolto” dedicati alle donne in qualche modo abusate, assurgono ad indispensabile strumento repressivo dei comportamenti violenti posti in essere a danno del genere femminile.
Se vivi in piccoli centri, però, questo ti sembrerà, in concreto, un discorso da “salotto buono”; posso affermare con certezza che le mie interlocutrici sono sempre perfettamente coscienti di essere vittime di abusi. Probabilmente, perché, se una donna decide di confidarsi con un avvocato, ha già elaborato il proprio dramma. Non di meno, le predette si rifiutano sistematicamente di sporgere denuncia. Perché? È semplicissimo: perché il loro aguzzino ha due complici crudeli, “fuori” dalla psiche delle donne maltrattate.
Il primo, si chiama “mancata indipendenza economica delle donne”. Provateci voi a spiegare ad una donna che non produce reddito che ben può lasciare un compagno violento; datele anche, però, prima un tetto ed il cibo per sé ed i propri figli, senza mentire sull’efficacia concreta, ovvero sulla esecuzione nei fatti, di provvedimenti giudiziali, che, prima o poi, arriveranno e riconosceranno alle stesse tutti i diritti possibili ed immaginabili, ma solo in astratto.
Il secondo, ancora più subdolo, si chiama “contesto”. Siamo “noi altri”. È il marchio che, ancora, malgrado le prese di posizione nette e “politicamente corrette” dei caudini, la società è pronta ad imprimere a colei che lascerà il marito, raffreddando così il decantato “calore del focolare familiare”, (vero o presunto tale). Il primo “abbandono” verrà, spesso, dalla famiglia di origine della donna, “disonorata” dal di lei tradimento dei valori tradizionali. Il resto, lo farà il chiacchiericcio pettegolo, mascherato con “neutralità bonaria”, di cui tutti siamo colpevoli; lo farà il “passaparola”, immancabile intelaiatura arricchita, di volta in volta, da decorativi piccoli particolari espressi “in buona fede” da ciascuno di noi; e così, il vestito di “donnaccia” sarà pronto…
Ovviamente, sarà lecito pensare che il problema sia all’interno delle famiglie in cui si consumano le violenze…Rinvenirlo in altre “sovrastrutture” , in responsabilità collettive, è più doloroso.
Rosaria Ruggiero