I Santi Giulani
Il ministro della cultura ed i suoi epigoni
( di Gacomo Porrino )I Santi Giulani . Si è molto parlato recentemente dell’ultima impresa cognitiva del molto popolare ministro della cultura (sic!) dell’attuale governo in carica. Occorre ribadire quanta insopportabile desolazione porti la vicenda di costui e soprattutto di chi lo ha nominato a un incarico così importante?
Che sia manifestamente inadeguato al compito cui è proposto appare ogni giorno più evidente, ontologicamente insostenibile ormai anche tra i meno astiosi nei suoi riguardi. E tutti quelli che con il loro voto hanno contribuito a portarlo lì, precisamente, possono in coscienza dichiararsi migliori di lui?
Un ruolo importante quello del Santo Giuliano. Importante per qualcuno tra noi, molto meno per chi invece lo ha nominato. Oltretutto per chiari meriti giornalistici, ipotizzo, avendo il nostro Santo Giuliano ricoperto l’incarico di direttore di un telegiornale della televisione pubblica fino al giorno del suo nuovo incarico, con tutto quello che una tale circostanza dovrebbe dignificare. Un caso unico al mondo, a meno di mia disattenzione.
Quasi tutti oggi cercano di battere i chiodi con cui crocifiggere il Santo Giuliano, molti per sentito dire più che per scienza. Dalli al Santo Giuliano, sembra di udire scompostamente rimbalzati sui muri assolati del conformismo provinciale. E andrebbe anche bene se non fosse che molti tra i turbati e i vocianti di oggi non hanno esitato ieri a votare per il partito che ha poi portato al governo personaggi come il nostro ineffabile ministro.
Ma siamo così sicuri che gli attuali aguzzìni del Santo Giuliano siano in realtà così dichiaratamente migliori?
La risposta a questa domanda non potrebbe che condurre a un pluralità di negazioni. No, non sono affatto migliori, oltretutto con l’aggravante della viltà anonima. Il fatto è che la realtà a volte si manifesta nelle forme di una semplice moltiplicazione. Se esiste un Santo Giuliano, infatti, è perché esistono tanti, troppi Santi Giuliani. Inutile illudersi. E non stupisca siano oggi tra i più intransigenti carnefici del nostro prezioso ministro. Ne sono in realtà la premessa degenerativa, il Santo Giuliano è ministro proprio a casa dei numerosi Santi Giuliani che infestano quella che fu l’Italia del Grand Tour. Oggi resa Grand Guignol della idiozia seriale.
Ma chi sono i Santi Giuliani?
Intanto sono tutti quelli che neanche un mese addietro hanno fatto da tappezzeria festante a conforto della visita del ministro della cultura (sic!) in queste terre caudine. L’imbarazzante sequela della nomenclatura politica locale tutta inquadrata in fila per sei col resto di due, accogliendo gioiosamente l’annuncio di prebende elettorali distribuite cum magno gaudio e benigna generosità. Danaro pubblico, beninteso.
Più in generale, i Santi Giuliani sono l’inverso dei Beati Paoli, hanno cioè poco da celare e sono gli esclusi dall’asse ereditario della intelligenza. Sono i cementificatori dei litorali del discernimento. Sono i comici involontari che periodicamente intentano atteggiamenti pensosi e gravi. E più si propongono gravi e pensosi, più involontariamente comico ne sarà l’esito.
Ambiscono al talento senza averne, rincorrono la maestria essendo nati zoppi, anelano essere individuabili ignorando l’importanza di essere riconoscibili. Sono l’ecosistema del deteriore, la discarica dell’insulso, il refluo dell’irrilevante.
Nella finzione cinematografica gli zombie, come molti sapranno, si nutrono di cervelli. A causa dei Santi Giuliani, esponenzialmente sempre più numerosi, gli zombie sono stati condannati a morire di fame.
I Santi Giuliani sono tutti quelli che impongono nomi alla storia non conoscendo la storia. Sono quelli che si inventano ponti e nomi di ponti mai esistiti, quelli che vedono piramidi in ogni collina di forma vagamente piramidale. Sono il trionfo della immagine e la morte della dottrina.
I Santi Giuliani sono tutti gli aspiranti poeti condominiali e gli arrembanti scrittori un tanto al bit, promozione porta a porta (profilo per profilo, come usa dire oggi) inclusa nel prezzo. Tutti rigorosamente in autopubblicazione – e purtroppo non più solo tale – nel contesto di un fenomeno in costante aumento, tipicamente incardinato in quella antropologia del degrado che già ho avuto modo modo di segnalare nel tempo.
I Santi Giuliani sono quelli che bramano costantemente un microfono senza sapere cosa dire, ma che devono dire spesso con sprezzo del ridicolo. L’ansia pretenziosa di dire bene qualcosa che non si conosce, senza per ciò stesso dirla bene. Sono i nemici più feroci di ogni plausibile e sperabile progresso culturale. I più feroci perché i più inconsapevoli. Sono la scivolatura costante verso la deresponsabilizzazione etica nell’ansia ritmica di evitare il collasso del proprio ego irrisolto. Non di rado, e non a caso, un istinto più che un progetto razionale.
I Santi Giuliani sono quelli dei festival a buon mercato, delle «serate culturali» buone soltanto per i rigurgiti velleitari di istrionismi da lavello, delle sagre e sagrette dove servire una riduzione grossier del bello servita in un piatto di plastica, dei fini dicitori che promettono invano di studiare la dizione, dei cortei in costume che si ha la pretesa di definire storico ma che di storico non hanno neanche la collocazione di qualche libro che avrebbe evitato facilmente l’uso di un simile aggettivo.
I Santi Giuliani sono inoltre tutti gli speculatori e gli spreconi di risorse pubbliche riversate in operazioni di alcuna valenza. Celate dietro anglicismi grossolani e contenuti inesistenti quando non plagiati, distribuiti malamente dentro siti internet costosi quanto completamente inutili.
I Santi Giuliani sono chiaramente quelli che confondono fatalmente un Luca Giordano con un Tiziano, un Caravaggio con un Tommaso Giaquinto, un Dal Po’ con un Frascadore, un Bernini con un centrotavola, un haiku con un mozárabe, un madrigale con un giro in Do maggiore, Jean Vigo con i cinepanettoni, un castello angioino con un cioccolatino da incartare.
I Santi Giuliani si connotano essenzialmente per la compulsiva ricerca di attenzione attraverso l’espediente delle parole degli altri. Non avendone di proprie, infatti, i Nostri si lanciano come un manipolo di arditi alla ricerca ciclica di un qualche pretesto che possa giustificare le passerelle che tanto bramano ogni giorno.
Tranne tartufi e speculatori, i Santi Giuliani non guadagnano solitamente danaro da tutto questo. La loro sola remunerazione è la ricompensa dell’essere riconosciuti nel ruolo che essi sono convinti di meritare. Mossi dal diuturno bisogno di percepirsi intelligenti, sagaci, brillanti, si sbracciano ad ogni occasione plausibile per smanacciare la loro presenza. Inevitabile a loro dire.
Guai poi a dissentire dai Santi Giuliani, peggio ancora se si provasse a mostrare il loro vero volto. Non amano essere contraddetti, non tollerano niente che possa incrinare le certezze della loro superficialità, non sopportano essere messi alla berlina per le sciocchezze che copiosamente si prodigano di mostrare indefessamente, non prevedono alcuna forma di confronto perché n cuor loro – i meno stupidi fra costoro – ben sanno quanto male ne uscirebbero. E i Santi Giuliani sono molto proclivi a seguire il loro istinto di conservazione.
Che nessuno provi a mostrare la pochezza dei Nostri. Il loro vittimismo aggressivo, tutto fondato sulla nenia basculante tra il «nemo propheta in patria» e il «chi sei tu a dirmi queste cose», scatta inesorabile come la lama di una ghigliottina in Place de la République. E non c’è verso di essere sorpresi diversamente.
Il Santo Giuliano è dunque sommamente prezioso ai Santi Giuliani, perché permette loro di schivare il vero problema: essi stessi. Perché li solleva dall’obbligo di fare i conti con il loro specchio, evitando così la Caporetto della loro irrilevanza quotidiana, l’inferno della propria mediocrità inconfessabile, e tuttavia ineluttabile.
Un ego di plastica è troppo finto per valere qualcosa. Troppo inquinante per essere biodegradabile nei sedimenti della storia. Troppo degradato nel declino inarrestabile di questi tempi così cianotici per la cognizione.
Era il 1957 quando Vladimir Jankélévitch diede alla stampe il suo celebre Le Je-ne-sais-quoi et le Presque-rien, che sarà tradotto e pubblicato in Italia solo nel 1987. Il non-so-che e il quasi niente è il pensiero sagittale di una esistenza sbriciolata nel mistero imperscrutabile di una ordinaria assenza di fondamenti, ma ben per questo tenuta alla pratica costante e pertinace dei gerghi nuovi della autenticità. Che non c’è più, perlomeno, non se ne vedono più i segni.
Qui, d’altronde come altrove, non piovono più rane, qui non si ruba più neanche il rame. Ci si contenta solo di sgomitare per essere i più belli del reame, quando invece spesso si è soltanto una parte del letame. Ma come pure dovrebbe essere noto il letame è faccenda preziosa, sicché i Santi Giuliani non possono che ambire alla vocazione che veramente legittima la loro esistenza, il senso ultimo della loro presenza nella storia. Che è il rumore. Il rumore di fondo senza forma e senza destino. Il rumore bianco del nulla.
( Nella foto un’opera di MIsha Gordin, Crowd #12, 1988)