Il cimitero di Moiano e le croci di plastica

Giacomo Porrino evidenzia una situaxione incresciosa

Redazione
Il cimitero di Moiano e le croci di plastica

Il cimitero di Moiano e le croci di plastica. Excuse my dust, scusate la (mia) polvere. Così Dorothy Parker, umorista, scrittrice, critica e attivista per i diritti civili vissuta vissuta nella prima metà del Novecento, ha immaginato ll proprio epitaffio, oggi custodito al Dorothy Parker Memorial Garden di Baltimora.

A Moiano, nella Città Caudina, sarebbe opportuno indicare invece, all’ingresso del cimitero comunale, «Scusate i fili», i nostri fili. Quelli adoperati ogni anno per la ricorrenza della commemorazione dei defunti.

Certo, spiegare a un qualunque ‘straniero’ l’usanza del «segnare le luci» per i propri defunti, cioè dedicare una luce commemorativa in ricordo dei propri cari, non sarebbe del tutto facile.
Altrove si risolve tutto con qualche fiore, finto o autentico non importa granché.

Nei cimiteri, per quanti fiori ci siano, non è mai primavera, ricordava Andrea Pinketts.

Non è precisamente un eldorado estetico questo ginepraio di elettricità mortuaria che in maniera involontariamente barocca ritorna ogni anno.

Ma diciamolo pure per quel che è, un conglomerato di sciatteria che fatico a comprendere come possa essere percepito alla stregua di un omaggio per i cari estinti. Una sciatteria energivora stante il consumo di energia che tocca prevedere, e tuttavia ciò che è lamentabile è di certo l’aspetto ben poco commendevole che assume il cimitero, l’aspetto che assumono i cimiteri locali.

Non sarebbe un cattivo esercizio quello di sforzarsi di pensare che i morti non sentono l’odore dei fiori, né vedono le luci, fisse o temporanee che siano.

Il cimitero di Moiano, poi, ha un’origine non banale. Dopo estenuanti ricerche e trattative per la individuazione del sito adeguato, siamo nella seconda metà del XIX secolo, si giunge infine a determinare l’area dove sarà costruito.

Un fondo di proprietà della famiglia De Marco, oggi estinta, non senza ambasce di ordine legale e politico. Tra il Campo di San Vito e l’Acquavivola in ogni caso viene sepolto il primo defunto nell’ultimo venticinquennio dell’Ottocento.

Da quel momento, le sepolture dell’ipogeo della parrocchiale saranno chiuse e presto dimenticate.

Ma questo attiene la storia, sebbene non ancora nota al pubblico.

Torniamo alla attualità. Due mesi fa mi sono recato al cimitero, come ogni anno addobbato per una festa che in fondo non vuole nessuno, che non importa a nessuno ma che nessuno sembra possa farne a meno.

Difficile non notare stavolta l’insieme imponente di croci in plastica che manco Kryžių Kalnas, la Collina delle Croci a Šiauliai in Lituania. E siccome la curiosità è il solo certificato di esistenza in vita, ostinandomi tuttora a vivere, ho posto qualche domanda a riguardo.

Ebbene, sembra che da quest’anno non sia più possibile prenotare una singola luce commemorativa, o due o anche tre, come sempre avvenuto fin qui. Il motivo pare sia proprio nella adozione di queste non indimenticabili croci in plastica, che prevedono solo la possibilità di prenotare un minimo di cinque o sei lampade.

Ora, ribadito che personalmente io farei serenamente a meno di ogni luce e di ogni fiore nei cimiteri, ricordando sempre che, come diceva Salinger, quando si è morti i fiori non li vuole nessuno, c’è però qualcosa da chiedere.

Chi ha deciso questa novità? Chi ha deciso quella che è, de facto, un aggravio della tariffazione per quanti sentono il desiderio di commemorare i loro defunti in questo modo? Che ne sarà di quelli che non potranno permettersi una intera croce di luci?

Perché introdurre simili novità in assenza di un necessario e doveroso coinvolgimento dei cittadini? Sono certo che l’attuale amministrazione comunale saprà prontamente intervenire per risolvere con robustezza questo problema, perché, rammento sottovoce, che un cimitero, così come un lavatoio pubblico, così come ogni parte del demanio comunale, è una struttura pubblica.

Appartiene cioè ai cittadini, per conto dei quali ogni amministratore sente il dovere inderogabile di tutelarne gli interessi, o no? Perché, se non ricordo male, ogni servizio comunale, sia esso gestito direttamente che in concessione, deve sempre privilegiare gli interessi dei cittadini, non è così?

Della questione cimiteriale molto si potrebbe dire, specie in ordine alle non lievi confusioni che ho potuto osservare quando, com’era giusto che fosse, la gestione è tornata nell’ambito comunale dopo una vacatio durata pressoché dalle origini stesse del cimitero comunale.

Per oltre un secolo se ne sono occupate le confraternite che, con esiti alterni, hanno pur sempre garantito una presenza sostanzialmente elusa dalla politica.

Molto si potrebbe raccontare in merito, chiaramente in una sede diversa per ragioni di spazio. Ma in fondo un cimitero che cos’è se non la replica silente ed epigrafica di una città di aspiranti immortali? Giovanni Papini diceva che i teatri di marionette e i camposanti sono gli unici luoghi dove l’uomo possa prendere coscienza di sé.

«Nei primi vede cos’è prima della morte, nei secondi quel che sarà dopo la vita». E malgrado ciò, è forse utile ricordare come un cimitero, in quanto luogo del pubblico, sia un luogo di tutti. È di tutti. E tutti dovrebbero esigere sia trattato, se non con amore, perlomeno con rispetto. Non fiori, dunque, ma opere di bene (pubblico).

E a beneficio dei sagaci del mercoledì, i quali chiederanno prontamente con sprezzo del ridicolo, il perché io non abbia proposto queste osservazioni nel momento dei fatti, risponderò semplicemente perché solo adesso ho trovato il tempo di farlo.

Mi useranno la cortesia di scusarmi. Buon anno anche a costoro.

Giacomo Porrino