Il pizzo si pagava comprando prodotti caseari

Redazione
Il pizzo si pagava comprando prodotti caseari
Il pizzo si pagava comprando prodotti caseari
Il pizzo si pagava comprando prodotti caseari. Usura, riciclaggio, controllo del mercato legale tramite l’imposizione di prodotti caseari. Nell’ambito di un’indagine coordinata della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, i Carabinieri di Castello di Cisterna e personale della Direzione Investigativa Antimafia hanno dato esecuzione a un’Ordinanza di Custodia Cautelare in carcere, emessa dal Tribunale di Napoli, a carico di 25 soggetti, ritenuti appartenenti al Clan “Sangermano”.
Sette irpini coinvolti
Tra i destinatari dell’intervento ci sono sette irpini. Quattro sono di Avellino, due di Atripalda e uno di Pago del Vallo di Lauro, tutti di età compresa tra i 24 ed i 49 anni. Nel corso delle attività, i carabinieri hanno dato esecuzione anche ad un decreto di sequestro preventivo, per un valore di circa 30 milioni di euro, su immobili (terreni e fabbricati), società, autovetture e rapporti finanziari.
I 25 soggetti tutti trasferiti in carcere sono gravemente indiziati, a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, trasferimento fraudolento di valori, illecita concorrenza, usura, autoriciclaggio e porto e detenzione illegale di armi comuni da sparo, quest’ultimi reati aggravati dalle finalità e modalità mafiose.
La prepotenza dell’inchino
La presenza pressante dei Sangermano sul territorio emerge da uno degli episodi ricostruiti dai carabinieri nel corso delle indagini: durante la processione della patrona del paese, l’effigie della Madonna era stata fatta passare davanti all’abitazione del boss Sangermano (tra i destinatari della misura odierna), dove c’era stato l’inchino in segno di rispetto. Era il 2016, in quella circostanza il parroco di San Paolo Belsito, don Fernando Russo, abbandonò la processione.
L’attività investigativa, svolta dal 2016 al 2019, ha consentito di evidenziare l’operatività del sodalizio criminale, con base a San Paolo Bel Sito e con interessi in gran parte nell’agro nolano ed in una parte della provincia di Avellino, tendente ad affermare il proprio controllo sul territorio di interesse, anche con la disponibilità di una importante quantità di armi comuni da sparo.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti il clan era particolarmente attivo nel settore delle estorsioni, con le modalità dell’imposizione della fornitura: obbligava numerosi commercianti della zona ad acquistare articoli caseari da aziende collegate alla cosca e imponeva agli imprenditori edili di rifornirsi da una sola rivendita di riferimento, anche questa riconducibile al clan.