Io con un tumore combatto negli ospedali del Nord: non ci sono guerrieri in questa malattia
Riceviamo e pubblichiamo
Gentile Direttore,
sono Luisa (omettiamo il cognome, ndr), una cittadina della Valle Caudina.
Sono rimasta molto colpita dalla morte di Nadia Toffa e, leggendo i social, la cosa è condivisa da tantissime persone.
Io sono colpita un po’ in più perché sono in cura per un tumore.
Non le scrivo per avere compassione ma solo per evidenziare un mio pensiero.
Non certifico la mia malattia sui social e sono convinta che chi ha un tumore non né un guerriero, né un perdente.
I malati di tumore si dividono in due categorie: chi riesce a farcela e chi no.
Tutti combattono.
Ma secondo lei, chi non supera il tumore non combatte? Non si alza ogni santo giorno guardando negli occhi “il mostro” che gli cresce dentro? Non si presenta alle chemioterapia con la speranza di costruire un muro per abbattere ciò che la sta uccidendo?
Purtroppo, con la compassione sui social la malattia non si vince.
Serve la ricerca, servono medici qualificati e soprattutto strutture.
Io sono una “emigrante” sanitaria: sono dovuta andare a Milano per la diagnosi e i primi interventi e ora la chemio la faccio a Napoli. Nelle prossime settimane dovrò risalire a Milano per tutti gli esami.
Al Sud non abbiamo strutture adeguate e mettere un “like” non cambia nulla a chi è ammalato di tumore.
Perdoni questo sfogo: non voglio prendermela con nessuno.
Nella malattia si è soli: certo, ci sono le nostre famiglie; chi ci vuole bene.
Ma non si combatte. Si spera che il proprio corpo ce la faccia.
Con osservanza
Luisa R.