La Festa dimenticata del 17 marzo
Una riflessione sull'unità culturale della gente del Sud

La Festa dimenticata del 17 marzo ( di Carlo Ippolito ). Il 17 Marzo 2025 si è celebrata la giornata dell’Unità d’Italia, da quel 17 Marzo 1861, quando dai Savoia fu proclamato il Regno d’Italia dopo l’annessione del Regno delle Due Sicilie; ma l’unificazione del territorio continuò ancora con l’annessione del Veneto nel 1866, di Roma nel 1870 e del Trentino Alto Adige e Venezia Giulia dopo la Prima Guerra Mondiale.
Il 17 Marzo è una ricorrenza a tal punto sentita da tutti i popoli della penisola e soprattutto dai politici italiani, da non essere neppure annoverata tra le feste nazionali, come il 25 aprile, il primo maggio, il 2 giugno o il 4 novembre.
Dopo aver trascorso una vita intera abitando in diverse regioni d’Italia, come la Lombardia, la Romagna, il Lazio, la Sardegna, vivendo e dialogando con le più svariate persone, sempre più si è fatta strada in me la certezza che per avere un pensiero convergente relativamente alla costruzione di un uguale futuro per noi tutti, è assolutamente necessario partire da un background comune, da tradizioni usi costumi e pensieri confluenti, perché è il passato che fa il futuro, perchè questo è ciò che più di tutto unisce le persone.
Ma tutto quanto detto si sedimenta solo nel lungo periodo, e purtroppo questa nostra epoca di cambiamenti iper veloci, di voglia di appartenenza al tutto e a nessun luogo o gruppo di persone in particolare, sembra andare nella direzione opposta all’aggregazione di un sentire comune che faccia maturare una unità di popolo.
Forse serve solo alla politica il dichiarare che gli italiani sono un popolo unito e che siamo tutti uguali in questa Italia post industriale, in cui per la verità ognuno ritiene di essere al centro del mondo e senza appartenenza di alcun tipo.
Dopo questo lungo girovagare per l’Italia, rilevo con tristezza che i limiti mentali, le vedute ristrette e i preconcetti dei vari gruppi sociali sono rimasti gli stessi, senza migliorare in nulla; e così, ogni regione ha le positività e negatività che da sempre le altre le affibbiano, senza mai potersele scrollare di dosso, pronte a risorgere alla prima occasione utile.
I preconcetti, il risentimento e le cattiverie delle popolazioni settentrionali verso quelle meridionali (e viceversa) non hanno trovato mai tregua, dal 1972 in cui ho lasciato la Campania per un viaggio attraverso questa nazione fino ad oggi, dopo oltre 50 anni di generale maggiore acculturamento e socializzazione che avrebbero dovuto marcare la scomparsa di tutto ciò; ma quei sentimenti sono pronti a ritornare alla prima occasione favorevole, e come il ripetersi dei corsi e ricorsi storici di Gianbattista Vico denotano che le differenze sostanziali tra i popoli restano sempre tali, se il passato da cui provengono non è lo stesso.
Ritornando ad abitare in Campania, ho subito avvertito come anche dopo 50 anni la comunanza di tradizioni e cultura per tutti gli aspetti che caratterizzano l’unità di un popolo in senso lato non siano cambiate in nulla, contribuendo a farmi sentire da subito a casa; sento più vicino a me e al mio sentire un lucano, un calabrese o un pugliese piuttosto che i molti con cui in altre regioni ho condiviso diversi anni di vita, e ciò mi porta a una inevitabile e realistica considerazione.
Quel benedetto Regno delle Due Sicilie, iniziando da Carlo di Borbone che dal 1734 diede la spinta decisiva alla creazione di un popolo meridionale e di una nazione indipendente e sovrana, lungo l’arco di circa 130 anni, finito solo per l’aggressione dei Savoia, ha comunque prodotto una vera nazione meridionale, che sono certo ancora oggi possa riconoscersi in cultura, tradizioni e costumi del tutto simili e che camminano paralleli; questo è ciò che crea davvero un popolo, non una definizione di appartenenza attraverso delle righe su mappe di trattati realizzati sulle teste degli uomini. Il nordest d’Italia è di indubbia provenienza e cultura balcanica e austriaca, il nordovest di provenienza francese, il centro Italia è una realtà a se stante, la Sardegna è da sempre realtà autonoma mentre tutto il sud, compresa la Sicilia, ha troppi tratti comuni per non essere definita un vero popolo, con radici profonde in civiltà antiche come quelle araba e greca.
Sulla scorta di quanto teorizzato da Parag Khanna, politologo di acuta analisi nel sul libro “La rinascita delle città-Stato”, ritengo che il futuro prossimo potrebbe anche prevedere il ritorno a macro aggregazioni di popoli sulla base di vere appartenenze culturali, e la macro area che vede il vecchio Regno delle Due Sicilie è una di queste.
Platone aveva previsto già migliaia di anni prima ciò che nella scala dei regimi politici si sta oggi avverando, ossia che la democrazia è la penultima fase della loro degenerazione. Dopo di essa, solo la tecnocrazia diretta, ovvero la tirannia.
L’avvicinarsi minaccioso di ombre di guerre sempre più vicine a noi rende maggiormente evidente tutto ciò e libera istinti sempre peggiori fino ad ora latenti e tenuti a bada dalle regole che ci eravamo dati dopo la 2.a guerra mondiale; l’accelerazione degli eventi sta lasciando allibiti molti osservatori, e mai avremmo immaginato che questa potesse essere la strada imboccata oggi dagli USA, ossia una parvenza di democrazia fondata sulla pura forza e contro la ragione, ma senza nessuno che sia in grado di contrastarla, pura tecnocrazia, con 8049 satelliti Starlink e poche persone che li comandano e decideranno la vita futura degli uomini tutti.