La vera ricchezza è nell’umiltà
L’immagine che stringo oggi tra le mani ritrae un uomo con indosso un bagaglio assai pesante di anni, ma quello che più grava sul suo corpo non è l’età.
La veste ornata, gli anelli, le collane d’oro massiccio e l’espressione fiera di colui che è convinto di essere sulla vetta, ma in realtà è già tra le viscere più profonde.
Ma adesso sono io che mi cimento nella discesa.
Giù nella caverna con la voce che punge, perché di certo l’ambizione opulenta non è altro che un gonfio pallone: grande, grosso, rotondo ma tutto vuoto all’interno.
“Eccomi ancora!”
So che tenere parole girano tra voi circa il mio conto. Ciarlatana, menzognera, un’anima senza posto sulla Terra che spreca il suo tempo nel discorso vano e senza senso. Mi dite poi che sono artificiosa e che il lessico sembra quasi scopiazzato da un vecchio trattato di filosofia. Perdonate, ma proprio nulla di buono vedo in questa contemporaneità che mi tiene avvinta alle catene e compressa nella pietra come la statua non ancora libera dal “soverchio”.
Ma non voglio parlarvi di questo.
Ponete lo sguardo sulla figura che ho tra le mani; subito dopo, riflettete sulla vostra condizione.
Qui tra voi dimora il ricco signore e l’umile lavoratore. Il primo ha tanto: una casa confortevole, la dispensa piena, denaro stipato in ogni dove e gioielli al collo della moglie. Il secondo ha poco: un giaciglio per dormire e giusto un pugno di riso per tirare avanti la giornata.
Eppure, vi dirò, la ricchezza è dell’umile.
Addurrò come prova certa della mia confutazione una realtà oggettivamente valida, ovvero quella della transitorietà dell’esistenza. La vita ha un limite temporale che conduce ineluttabilmente alla morte. La morte è privazione di ogni cosa, del corpo, dell’anima e di tutto quello di cui ci siamo circondati nel corso del transito terrestre.
Allora come non potrebbe apparire vano l’affanno dell’ambizioso che ha lavorato e poi sottomesso il suo operaio, accumulando denaro su denaro e tirando dalla sua parte l’avarizia, senza pensare che è forse quello uno dei mali peggiori che possa mai capitare all’uomo errante?
L’uomo ricco morirà con affanno, perché triste al pensiero di dover lasciare ogni sua ricchezza, mentre i figli ed i parenti già si agitano intorno al profumato boccone, preludio di litigi e malumore. Il povero, invece, andrà via col sorriso, accompagnato dalla voce del figliolo riconoscente per la sua fatica che oggi gli ha permesso di stringere un libro tra le mani e di essere un vero uomo.”
Alessia Mainolfi