Montesarchio: 17enne ridotto in fin di vita con una mazza da baseball, lo specchio di quello che siamo diventati

Una rilfessione su quello che si agita intorno a noi

Redazione
Montesarchio: 17enne ridotto in fin di vita con una mazza da baseball, lo specchio di quello che siamo diventati

Montesarchio: 17enne ridotto in fin di vita con una mazza da baseball, lo specchio di quello che siamo diventati. Francesco Sorrentino, docente giornalista e padre, affida al nostro giornale un’analisi di quello che è successo nella notte tra sabato e domenica quando un ragazzo di 17 anni è stato ridotto in fin di vita da quattro ragazzi che lo hanno colpito alla testa anche con una mazza da baseball.

La violenza che sabato notte ha sconvolto Montesarchio non è un semplice fatto di cronaca. È il riflesso inquietante di un male più profondo, che serpeggia tra i giovani e attraversa, come una crepa invisibile, le fondamenta morali delle nostre comunità.

Un ragazzo di 17 anni, originario di Vitulano, è stato aggredito con una mazza da baseball e ora lotta tra la vita e la morte. Un gesto brutale, inspiegabile, che ha lasciato la Valle Caudina sotto shock e che riporta alla memoria episodi drammatici avvenuti altrove, come la tragica morte di Willy Monteiro Duarte a Colleferro.

Ci si interroga, come sempre accade dopo l’ennesimo episodio di cieca violenza: cosa sta succedendo ai nostri giovani? Da dove nasce questa rabbia che si trasforma in odio, questa incapacità di controllare l’impulso distruttivo, questa assenza di freni morali?

La risposta, purtroppo, non è semplice. Quello che si sta consumando sotto i nostri occhi è il lento, inesorabile declino del senso del limite, del rispetto per la vita, dell’empatia. Sembra che la società stia crescendo generazioni di ragazzi disorientati, privi di riferimenti forti, convinti che la forza e la sopraffazione siano strumenti legittimi per affermarsi.

In questi comportamenti c’è un fallimento collettivo. Delle famiglie, innanzitutto, troppo spesso assenti o indulgenti, incapaci di ascoltare davvero i figli, di imporre regole e conseguenze. Crescere un adolescente oggi è difficile, ma non impossibile: occorre tempo, presenza, pazienza, e soprattutto l’esempio.

Non si può pretendere rispetto se non lo si pratica ogni giorno in casa. Non si può chiedere empatia se non la si coltiva nei gesti quotidiani. La famiglia resta la prima scuola di vita, il primo luogo in cui un ragazzo impara cosa è giusto e cosa è sbagliato. Quando abdica a questo ruolo, altri lo sostituiscono: i social, la strada, i modelli di violenza esibita.

Ma anche la scuola ha una responsabilità che non può più eludere. L’educazione non può limitarsi alle materie e ai voti. Serve una scuola capace di educare alle emozioni, al rispetto, al senso civico. Serve una scuola che sappia riconoscere il disagio prima che diventi devianza, che offra spazi di ascolto, di confronto, di crescita personale.

L’educazione civica non può essere un capitolo del programma, ma una pratica quotidiana, viva, concreta. La scuola deve tornare a essere il presidio educativo per eccellenza, il luogo dove si formano cittadini, non solo studenti.

Le istituzioni, poi, devono farsi carico di un compito più grande: ricostruire il tessuto sociale e culturale che tiene insieme una comunità. La politica locale e nazionale deve investire in cultura, sport, centri giovanili, sostegno psicologico.

Non bastano più le telecamere o le pattuglie: servono alternative, occasioni sane di aggregazione, strumenti che restituiscano ai ragazzi il senso di appartenenza e di futuro. Quando i giovani non trovano un posto nel mondo, se lo prendono con la forza, e questo è il fallimento più grave.

La Valle Caudina non è diversa da tanti altri territori italiani. È una terra viva, laboriosa, ma anche segnata da fragilità sociali e disattenzioni educative. Ciò che è accaduto a Montesarchio deve essere un punto di non ritorno.

Non possiamo liquidarlo come un fatto isolato o la “follia di una notte”. Ogni volta che un giovane colpisce un suo coetaneo fino a ridurlo in fin di vita, crolla un pezzo di civiltà. Ogni volta che l’indifferenza prevale sull’indignazione, la violenza trova terreno fertile per ripetersi.

Non basta condannare: bisogna cambiare. Cambiare linguaggio, cambiare mentalità, cambiare priorità. Educare alla gentilezza, al rispetto, alla responsabilità. Restituire ai ragazzi la consapevolezza che la vita — la propria e quella degli altri — è sacra e inviolabile.

Nessuna comunità può dirsi civile se non sa proteggere i suoi giovani e, insieme, educarli a diventare uomini e donne migliori.

La Valle Caudina, oggi, piange e riflette. Ma non deve rassegnarsi. Da questa ferita deve nascere una reazione, una presa di coscienza collettiva. Perché la violenza giovanile non è solo un problema dei giovani. È lo specchio di quello che siamo diventati tutti noi.

Francesco Sorrentino