Rotondi, Eugenio Giliberti a Città di Castello

Redazione
Rotondi, Eugenio Giliberti a Città di Castello

Fare visita ad Eugenio Giliberti è sempre una esperienza particolare. L’artista partenopeo, di origini caudine, ha trasformato la masseria di via Varco a Rotondi, in un laboratorio creativo. Addirittura, il suo studio è una vera e propria opera d’arte. È stata realizzata lo scorso anno, quando via Varco entrò in un progetto di valorizzazione regionale, in quanto oltre a Giliberti hanno i loro laboratori altri artisti di arte contemporanea.
Qualcosa di veramente unico, di cui non si può non essere fieri. Giliberti, come le piante di cui si prende cura, perché è anche ideatore dell’orto civico, attinge dall’humus rotondese e caudino. Il suo studio opera d’arte, infatti, è realizzato con dei tondini che lui ha ricavato dalla potatura del suo meleto. E, probabilmente, lavorare in un posto simile gli fa attingere una particolare energia. Eugenio è sempre cordiale, soprattutto se, quasi a sorpresa, gli porti degli ospiti. Anche se magari ha appena terminato di lavorare, riaccende le luci del suo laboratorio e, con voce timida, come se fosse lui il visitatore, ti spiega quello che sta realizzando. La narrazione non riguarda solo la sua arte. Può parlare per ore dei fermenti artistici della Napoli della fine degli anni settanta, della incredibile storia della sua famiglia, per parte di madre, infatti, discende dai Pirisi Del Balzo Di Presenzano o ti racconta cosa può aver significato essere stato per anni dirimpettaio della abitazione napoletana di Giacomo Leopardi. La settimana prossima Eugenio Giliberti, sarà tra i protagonisti di un convegno internazionale che è stato organizzato a Città di Castello per ricordare il centenario della nascita di Alberto Burri. Per l’occasione ha realizzato un’opera che lui definisce impersonale, in quanto ha usato la pittura ad olio. Un qualcosa che non usava anni. Il quadro, però, ritrae un meleto e come cornice ha usato un grande ramo di ciliegio. E così, anche a Città di Castello, in questa importante occasione internazionale, anche se l’opera è impersonale, Giliberti parla di radici, racconta la sua terra che è la nostra terra. I giovani ospiti che sono insieme a me, Alessandro Carofano e Vincenzo De Lucia, non smetterebbero mai di ascoltarlo ma l’ora è tarda ed Eugenio resta anche un contadino che non vuole perdere il primo raggio di sole che bacia i suoi campi.

Peppino Vaccariello