Sant’Agata de’ Goti: Ospedale, lo sciopero del voto è un autogol. Serve la proposta
di Giancristiano Desiderio
La protesta delle signore Mena Di Stasi e Pina De Masi del comitato cittadino “Curiamo la vita” per impedire la chiusura definitiva dell’ospedale Sant’Alfonso di Sant’Agata dei Goti è nobile e generosa. L’ospedale è un servizio sanitario che è sempre esistito in questa antica comunità e sapere che oggi l’ospedale, privo com’è di reparti come cardiologia, chirurgia, ortopedia, è di fatto inesistente, crea di certo sconcerto e offesa. Così lo scopo dello sciopero della fame delle due mamme è ottenere un chiarimento definitivo con il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, e con il ministro della Sanità, Giulia Grillo. Tuttavia, pur apprezzando la generosità del comitato cittadino è necessario chiedersi se la protesta sia sufficiente per avere un vero ospedale. Forse, è giunto il momento – con grave ritardo – di affiancare alla protesta una proposta e per farlo non si può eludere la conoscenza della verità: se l’ospedale è diventato un malato terminale le responsabilità non sono né di De Luca né della Grillo ma degli amministratori, sanitari e politici, locali. Se si vuole ancora tentare di salvare qualcosa è bene chiarirsi le idee. Non è possibile che ci siano sempre uomini per tutte le stagioni e non è neanche più immaginabile che chi protesta affidi una delega ad altri per la soluzione del problema. E’ necessario voltare pagina. Qualcuno deve iniziare ad andar via.
I passaggi da tener presente sono due. Il primo riguarda la struttura sanitaria del nuovo ospedale nato morto. Quando furono chiusi i due vecchi ospedali di Sant’Agata dei Goti e di Cerreto Sannita non si capì che quello era un momento importante in cui i due paesi avevano una grande occasione: la cura e la crescita comune, insieme agli altri comuni della valle telesina e della valle caudina, di un nuovo ospedale. Purtroppo, sappiamo che il progetto di un nuovo e più importante ospedale partì da subito male: all’interno della struttura continuavano ad esistere di fatto i due vecchi ospedali e il personale medico e infermieristico non divenne mai una nuova squadra con un obiettivo comune. Chi vive in questa realtà sa molto bene che quel che dico è la più semplice e la più concreta delle verità. Chi lavorava nei due vecchi ospedali prese la decisione della fine dei due antichi nosocomi e la scelta della nascita di un nuovo e più grande ospedale come un’offesa personale alla sua stessa vita, alle proprie abitudini, alle proprie comodità. La stessa amministrazione sanitaria non fu in grado di ipotizzare un progetto medico avanzato alle nuove esigenze e fin da subito il nuovo ospedale divenne un fantasma. Una scatola vuota o una cattedrale in mezzo alla campagna dove non c’era nessun Dio da pregare. La responsabilità di questa situazione è tutta locale: santagatese, cerretese, beneventana. C’è un’evidente incapacità di amministrarsi.
Il secondo passaggio è politico. Il destino dell’ospedale di Sant’Agata dei Goti appare definitivamente segnato quando entra in scena l’idea di cosiddetto “polo oncologico” e la perdita dell’autonomia amministrativa e sanitaria con la consegna delle chiavi dell’ospedale all’azienda sanitaria Rummo di Benevento (ora San Pio). Un passaggio che fu anche ipotizzato in passato, quando a capo dell’azienda sanitaria beneventana c’era il dirigente Nicola Boccalone, ma che poi è stata realizzata nel peggiore dei modi come un ripiego e non come un investimento. Il piano sanitario regionale, nella parte riguardante la provincia di Benevento e la funzione dell’ospedale santagatese, non è stata fatta contro la volontà dell’amministrazione comunale di Sant’Agata dei Goti e neanche contro le posizioni del Pd di Benevento guidato proprio dal sindaco santagatese. Anzi, il piano regionale che reca la firma del commissario e presidente De Luca è stato fatto d’intesa con la politica locale. Proprio l’amministrazione comunale santagatese è stata la prima a sostenere l’idea dell’inesistente “polo oncologico”: idea che, cambiando le funzioni ospedaliere, ha poi condotto all’accorpamento dell’ospedale santagatese all’azienda sanitaria beneventana. Il lettore – il lettore santagatese come quello cerretese e quello beneventano e chiunque si sia trovato a passare da queste parti – il lettore ricorderà che dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018, quando il sindaco-presidente-candidato Valentino fu bocciato nelle urne insieme con il suo partito, sull’ospedale ci fu uno scontro tra De Luca e l’ex candidato che proprio sull’ospedale, alla luce della protesta popolare, aveva cambiato idea.
Dunque, come si può capire la situazione dell’ospedale è frutto di un doppio fallimento tutto locale: sanitario e politico. Se le cose stanno così – e tutti sanno che stanno così – è evidente che la protesta è debole. E’ senz’altro generosa e chi mette non solo la propria faccia ma anche il proprio corpo in questa battaglia merita considerazione e rispetto e ha la mia vicinanza morale. Tuttavia, proprio nell’interesse della protesta si deve prendere atto che la protesta senza la storia vera dell’ospedale è debole e persino inutile. Oltre alla protesta è necessaria la proposta.
In queste ore a Sant’Agata dei Goti c’è la riconsegna delle schede elettorali il cui senso dovrebbe essere questo: se ci togliete l’ospedale allora, non andiamo più a votare perché è vano. Purtroppo, passare dallo sciopero della fame allo sciopero del voto non ha senso. Se le responsabilità sono locali allora, il voto deve essere esercitato per sanzionare le responsabilità. Fino a quando i protagonisti di questa storia saranno gli stessi non ci sarà alcuna possibilità di riavere un minimo di servizio sanitario civile. Qualcuno deve iniziare ad andare via.
Dunque, chi oggi protesta deve rendersi conto che c’è bisogno di elaborare una proposta. I comuni che sono interessati all’ospedale devono consorziarsi e rivendicare l’autonomia amministrativa dell’ospedale e rilanciarne con risorse la funzione. Lo sciopero del voto deve tramutarsi in una partecipazione elettorale per una completa assunzione di responsabilità. E’ un percorso lungo e difficile ma non ne esiste un altro che non sia poco serio. Il tempo in cui qualcuno – un politico, un ministro, un partito, una madonna – risolveva qualcosa è finito da tempo. Se la brutta storia della fine dell’ospedale di Sant’Agata dei Goti e di Cerreto Sannita porterà a questa presa d’atto allora, vorrà dire che il dramma sarà servito a qualcosa e la vita, come sempre accade, rinascerà. Altrimenti, non resta che piangere come i coccodrilli.
(Dal blog di Giancristiano Desiderio: http://www.giancristianodesiderio.com/blog/)