Scoperti gli hacker della Dad
Scoperti gli hacker della Dad. Proprio come quando si cercava di sabotare il compito in classe facendo evacuare la scuola con un falso allarme. Tentativi di sabotaggio della scuola arrivanoi da tempo anche in modalità smart working e a farne le spese è sempre la didattica.
Violate le piattaforme web
Cosa è successo? Sono state hackerate, e quindi violate, le piattaforme web per la didattica a distanza. Si tratta dei siti online ai quali si collegano centinaia di migliaia di studenti tutti i giorni per seguire le lezioni che seguivano in classe, quando si poteva farlo.
Solo che, con la Dada (didattica a distanza) oltre al reato di interruzione di pubblico servizio si aggiunge anche l’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico.La Polizia di Stato di Genova, coordinata dalla Procura della Repubblica del Capoluogo ligure, ha concluso una complessa attività di indagine. Gli investigatori hanno individuato un gruppo di ragazzi, strutturalmente organizzato per l a sistematica interruzione delle lezioni di diverse scuole sull’intero territorio nazionale.
Si tratta delle lezioni svolte in modalità Dad sulle piattaforme informatiche di videoconferenza. Erano state, infatti, presentate già dal primo lockdown numerose denunce ad opera dei dirigenti scolastici di Istituti di diverso ordine e grado
Gli investigatori hanno messo insieme gli elementi ed hanno ricostruito le tracce informatiche lasciate dagli autori delle incursioni nel compimento dell’attività delittuosa.
Mesi di indagini
Dopo mesi di serrate indagini, gli agenti del Comparrtimento della Polizia Postale di Genova hanno ricostruito la struttura ed hanno individuato gli organizzatori. Si tratta di tre ragazzi, di cui uno minorenne residenti nelle province di Milano e Messina.
I tre facevano parte di gruppi Telegram ed Instagram, creati appositamente con la finalità di disturbare i docenti e provocare la sospensione delle lezioni.
A condividere i codici di accesso alle video-lezioni spesso erano gli stessi studenti, anch’essi individuati dai poliziotti, che si sentivano al sicuro per via della apparente percezione di anonimato che sembra essere garantito dalle piattaforme social .
Tutti gli indagati hanno ammesso le loro colpe. Ed hanno capito che quello che sembrava uno scherzo ora è diventato un guaio giudiziario vero e proprio.