Si spacciava per la sorella di Cantone, condannata dalla Cassazione
Si spacciava per la sorella di Cantone, condannata dalla Cassazione. La Suprema Corte ha condannato l’avvocatessa irpina, Maria Virginia Cantone, 54 anni, con studio a Cervinara, confermando le decisioni prese dai giudici in primo grado e in Appello, a tre anni e otto mesi di reclusione e a pagare una provvisionale da 283mila euro.
A riportare la notizia è IrpiniaNews. L’avvocatessa, ricordiamo, si era spacciata per la sorella dell’allora capo dell’Anac Raffaele Cantone, ma era stata scoperta.
Uno dei truffati, infatti, ha raccontato di aver pagato circa 260mila euro per la cura di una pratica legale. La vicenda esplose due anni fa, e ne parlarono stampa locale e nazionale che così scrissero.
Riportiamo il comunicato emanato dalle forze dell’ordine nel 2018
Nella giornata di ieri, ad esito di indagini coordinate dalle procure di Napoli Nord e di Avellino, su disposizione del G.I.P. del tribunale di quest’ultimo capoluogo, i finanzieri del dipendente gruppo di Giugliano in Campania, con la preziosa collaborazione dei colleghi del nucleo di polizia economico-finanziaria di Avellino, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dell’avvocato cervinarese Maria Virginia Cantone di 53 anni.
L’attività investigativa aveva tratto origine da una denuncia presentata da un cittadino di Marano di Napoli coinvolto nel 2012, insieme ai figli minorenni, in uno spaventoso incidente stradale; occorso a Giugliano in Campania, nel corso del quale perdeva la vita la propria coniuge.
A seguito di tale tragico evento, il denunciante si era rivolto al legale in parola al fine di farsi assistere per il giudizio civile di risarcimento del danno patito; attinente sia alle lesioni subite che al decesso della moglie.
Indagini
All’esito delle indagini di P.G. svolte dalle fiamme gialle è appurato che il professionista, al termine dell’istituito procedimento civile, mediante artifizi e raggiri; nonché approfittando dello stato di salute dei propri clienti, si faceva consegnare, in più occasioni, titoli bancari.
Per l’importo complessivo di euro 264.000 motivandoli con l’apertura di libretti vincolati, intestati ai figli minorenni, così come disposto dal giudice tutelare; mentre in realtà aveva provveduto a versare tali titoli sui propri conti correnti.