Valle Caudina: andare a votare
La necessità di tornare alle urne

Valle Caudina: andare a votare( di Giacomo Porrino ). Come in molti dovrebbero sapere, al netto della disinformazione di stato condotta con il puntiglio tipico del travet di una qualunque questura fascista dei tempi, domenica 8 e lunedì 9 prossimi venturi siamo chiamati a votare i quesiti referendari proposti dai comitati promotori e approvati dalla Corte Costituzionale.
Già, perché intanto sarebbe utile ricordare che i referendum devono affrontare un vaglio preventivo di legittimità per evitare siano lesi i principi cardine dell’ordinamento costituzionale.
Altrimenti chiunque potrebbe chiedere di abrogare la coda dei gatti o i chili in eccesso, oppure chiedere di abrogare la Repubblica democratica. Anche se, ai più svegli, ciò non sembra attualmente necessiti di particolari intrugli giuridici, sta avvenendo sotto i nostri occhi ogni giorno.
Nella violenta indifferenza di una generazione ormai resa analfabeta di ogni civismo. E qui veniamo ai prossimi referendum dell’8 e del 9 di giugno. Tornando a 79 anni fa, quando è toccato agli italiani che uscivano dalla guerra e dalle macerie morali e civili del fascismo, scegliere la forma del governo del futuro. Monarchia o Repubblica, era il 2 giugno del 1946.
Come nel resto d’Italia, anche la Valle Caudina ha registrato una percentuale molto alta di partecipazione al voto. E, nel caso segnato, i caudini del tempo hanno nella quasi loro totalità scelto la monarchia come forma di governo.
Tranne un solo comune, San Martino Valle Caudina, dove l’orientamento per la repubblica è stato nettamente maggioritario. Ciò a causa della presenza storicamente attestata di una robusta tradizione socialista e anarchica che proprio in questo spicchio della Valle ha trovato una sacca di permanenza di grande interesse.
Ora, tralasciando le complesse contestualizzazioni legate agli scenari politici e sociali che hanno determinato quegli eventi, resta però il fatto che quelle donne e quegli uomini hanno sentito l’esigenza di essere presenti negli eventi importanti del loro tempo.
Hanno scelto in ogni caso di non restare nelle case, nelle quali erano stati confinati da venti anni di dittatura. E sono andati a votare, monarchia o repubblica, hanno deciso di essere più o meno consapevolmente interpreti del loro futuro.
Oggi, quasi ottant’anni dopo, in un contesto chiaramente molto diverso e tuttavia per alcuni versi invece assai simile, ci ritroviamo a confrontarci su altri quesiti referendari. I quali hanno non solo una valenza di per sé, il contrasto allo scenario di progressiva desertificazione dei diritti dei lavoratori, della precarizzazione sempre più estesa su base di massa, della pretesa violenta di schiavizzare i giovani, di costringere le imprese ad assumersi finalmente l’onore vero di provvedere senza elusioni alla sicurezza dei luoghi di lavoro.
No, sarebbe già bastevole questo per spingere chiunque, caudini compresi, a recarsi in massa alle urne per votare. Tuttavia c’è una questione più profonda che rende questo appuntamento ancor più dirimente, decisivo.
E soprattutto politico. Perché in un momento nel quale si assiste alle progressiva demolizione dello Stato di Diritto, recentemente conclamato dall’eversivo decreto legge Sicurezza (la loro, contro di noi), ribadire la volontà di decidere direttamente sulla qualità della nostra vita senza più delegare il nostro destino a nessun passacarte obbediente in parlamento (volutamente scritto in minuscolo) è un dovere civile in questo momento storico non eludibile.
Giorgio Bocca diceva che il referendum in Italia è come un barometro: segna il tempo ma non lo fa cambiare. E a noi, in questo passaggio cruciale, tocca adesso segnare il tempo facendolo cambiare.
Per due fondamentali ragioni. Fermare il progetto di soppressione di ogni diritto dei lavoratori, negando loro di fatto tutti i diritti conquistati nel corso degli scorsi decenni e impedire lo smantellamento dell’istituto referendario, con il pretesto della scarsa affluenza e altre sciocchezze pretestuose affidate ai trombettieri di regime.
La volontà del popolo è la base della legittimità del potere, così la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, nel 1789. Ricordate?
Abbiamo ancora la possibilità di decidere la forma e la qualità del nostro futuro. Abbiamo ancora la possibilità di fermare il progetto autoritario ormai sempre più sfacciatamente sviluppato per mano di questo governo. Abbiamo ancora la possibilità di decidere se restare cittadini liberi o tornare a essere sudditi senza destino.
E per farlo non serve cercare piramidi, andare dall’altra parte del mondo o allestire ghirlande di elefanti rosa. Serve soltanto andare a votare il prossimo 8 e 9 di giugno. Quale che sia il vostro voto, andate a votare.
Il governo, le forze della conservazione, le squadracce reazionarie non vogliono voi scegliate, hanno scelto che voi non dobbiate scegliere, vi dicono di non andare a votare. Ma non vi dicono il perché. Perché non ne hanno, un perché.
Perché hanno in mente non il vostro diritto al voto, hanno in mente solo la distruzione di una società libera sostituendola progressivamente con costruzione di una enorme caserma nella quale si possa solo obbedire. Questa è la loro idea di mondo. Orrenda come quella dei loro compari di venti anni fa.
Se non volete tutto questo, se volete ancora un futuro nel quale poter dire davanti a uno specchio di aver avuto un giorno di giugno la forza di restare liberi, allora andate a votare. Sì o No, andate a votare.
Se sceglierete di andare al mare senza votare, allora restateci pure, sarete inutili. Meriterete di vivere come nuovi lazzari al soldo di ogni cardinal Ruffo. E non potete più lamentarvene, non ne avrete più la possibilità. Quindi, ribellatevi e andate a votare.