Valle Caudina: creare un coordinamento intercomunale per una spinta verso lo sviluppo
Il Caudino continua a pubblicare proposte ed interventi per disegnare una via che contrasti la desertificazione
Valle Caudina: creare un coordinamento intercomunale per una spinta verso lo sviluppo. Continua il dibattito aperto dall’editoriale del direttore di questa testata, Peppino Vaccariello, sulla desertificazione della Valle Caudina Oggi ospitiamo la proposta di Ranieri Popoli, rappresentante dell’associazione “Movimenti Locali Tufo”
. Valle Caudina: creare un coordinamento intercomunale per una spinta verso lo sviluppo. Seguo con sincero interesse le vicende politiche e sociali della Valle Caudina in quanto abitante della confinante Valle del Sabato e da sempre sensibile alle problematiche delle aree interne del nostro Mezzogiorno.
Due Valli distinte dal punto di vista topografico ma nella realtà un “unicum” territoriale che tiene insieme paesaggi, rapporti civili, culture, dinamiche economiche e sociali, dove sono impiantate le radici di una stirpe comune.
Opportunamente il dibattito è stato incentrato su un tema duale quale quello dello spopolamento e della prospettiva del territorio caudino partendo da un’analisi, seppur di carattere enunciativo, che non lascia spazio a interpretazioni ma nel contempo declina questa problematicità nell’incitamento a superare il guado e a prendere il coraggio a due mani per proiettarsi concretamente verso nuovi orizzonti istitutivi.
La Valle Caudina è un corpo “anomalo” nel contesto territoriale quantomeno regionale tenendo insieme a mezzadria comuni delle due province del Sannio e dell’Irpinia, generate nel modo che sappiamo. Essa è esiziale a entrambi i territori provinciali annoverando un trascorso storico significativo e una contemporaneità socio-economica di tutto rispetto, pur con qualche innegabile elemento di preoccupazione per quanto concerne la tenuta sociale.
E’ un’area con potenzialità e contraddizioni che presenta comunque un’interessante omogeneità che si presta a sperimentare politiche di pianificazione e di organizzazione territoriale essendo un ambito antropico e naturalistico che consente talune necessarie dinamiche perché si possa ipotizzare una strutturazione organica su scala di servizi e di politiche intercomunali più in generale, favorita da una prossimità funzionale tra città e campagna.
La Valle Caudina nove anni fa ha avviato un’esperienza di coesione territoriale istituendo un’Unione del Comuni, dotandosi di un apposito statuto, di una propria rappresentanza e avviando qualche esperienza di servizi associati.
Sempre quest’area è stata riconosciuta nella sua organicità rappresentativa dalla Regione Campania meritevole di essere inclusa nei cosiddetti “Masterplain” di sviluppo, realizzando per essa uno studio territoriale propedeutico per intercettare i fondi del PNRR e quelli delle politiche di coesione europea, in particolare per ciò che concerne gli asset delle infrastrutture e della mobilità.
Su quest’ambito, inoltre, da decenni gravitano progetti e risorse per il completamento di infrastrutture produttive e della logistica viaria e ferroviaria, le quali, al momento, registrano ancora significativi ritardi.
Insomma per quanto in un contesto non compiutamente organico la Valle Caudina non è priva di opportunità ma nonostante tale potenziale i risultati sembrano ancora alquanto insufficienti perché si possa parlare credibilmente di inversione di tendenza, considerati anche i preoccupanti dati sul progressivo spopolamento.
Ma allora cosa impedisce di avviare un serio processo costituente istituzionale che faccia nascere ufficialmente la “Città Caudina” , al di là degli auspici d’occasione e della facile agiografia politica?
Questa nuova entità locale avrebbe la popolazione di una città media di oltre sessantamila abitanti nonché il cumulo del P.I.L. di ben tredici comuni e un territorio di straordinario valore naturalistico, sul quale si potrebbero sperimentare innovative politiche di sostenibilità .
Ma unire non basta se non si individuano soluzioni che non procurino salti nel buio perché in questi casi non serve sommare delle debolezze ma riordinare, ripensare per redistribuire perché tutti ne traggano beneficio nella nuova entità locale.
Prima che di farne solo una questione di architettura amministrativa, il che sarebbe fallace e fuorviante, io credo che si tratti di affrontare il problema ripensando alla radice il paradigma della cultura del governo locale perché a impedire l’avanzamento di nuovi processi come questi più che la geografia politica è la non volontà di realizzarli.
Per come si è andato evolvendo il ruolo dei comuni nel disordine politico e istituzionale imperante nel nostro Paese negli ultimi tre decenni, i poteri ma anche i sistemi di vita locali. hanno sempre più corrisposto all’attrazione fatale del municipalismo e del dirigismo subordinando il la partecipazione alla’ esecutività ottriata.
Nel vulnus dei poteri degli enti preposti alla programmazione e alla concertazione territoriale, in primis Regione e Provincia, c’è uno spazio importante che Comunità Montane ed Enti di servizi sovracomunali potrebbero ricoprire, magari seguendo il meritorio metodo seguito dai G.A.L. nel proporre una strategia partecipativa dal basso.
Purtroppo, in specie nel Mezzogiorno molte realtà comunali si sono rinchiuse in una sorta di autarchia di resistenza concentrandosi soprattutto sul presente, sposando una cultura della gestione anziché della responsabilità della prospettiva.
Un territorio come la Valle Caudina, è inutile sottacerlo, è anche un congruo appeal consensuale che genera poteri indigeni ma che a sua volta concorre a garantirne altri superiori per cui rompere un assetto e degli equilibri di tale portata non è cosa che tutti facciano di gran carriera.
Pino Mauriello nel suo interessante intervento di fronte alla disillusione riscontrata rispetto ai vertici politici circa la mancata realizzazione della “Città Caudina” propone di ripartire dal basso coinvolgendo la cosiddetta società civile, in particolare gli attori, singoli e collettivi, della vita culturale, associativa e sociale di queste comunità.
Io credo che si tratti di una proposta da tenere in seria considerazione che come tutti i processi, però, avrebbe bisogno di un minimo di cogestione se non si vuol correre il rischio di procedere in modo difforme e improduttivo.
Forse è venuto il momento di creare una sorta di Coordinamento intercomunale senza secondi fini e senza prevaricazioni di parte , formato da cittadine e cittadini di spiccata e riconosciuta serietà e autonomia intellettuale, che possono in qualche modo offrire la spinta iniziale per tale complesso percorso.
Se le politiche intercomunali restano impantanate nelle logiche localistiche non si avrà mai un pensiero nuovo in tal senso. Esso non dovrà essere il frutto di un’ assemblaggio di equilibri ma di un’idea che in nuce abbia una matrice e un’impronta rigeneratrice.
Questo senza creare alcuna disputa o concorrenza con i poteri istituzionali locali, dei quali non si può sottacere la solerte azione amministrativa quotidiana e un sincero impegno per affrontare le difficili sfide della salvaguardia e dello sviluppo di questi territori.
Si tratta, piuttosto, di creare con essi un raccordo e una sinergia perché si strutturi in progress un cronoprogramma e una manifesto di intenti in modo he si realizzi un processo democratico, magari popolare, ma pur sempre organizzato.
Un’idea, forse un auspicio, ma sta di fatto che se non si agisce così difficilmente si potranno attendere novità in tempi ragionevolmente congrui. Solo alla fine, come tutte le cose che accadono in questo strano Mezzogiorno, potremmo sapere se questo tentativo sarà meritevole di essere ascritto alle categorie dell’utopico o a quelle del mito.