Valle Caudina, la Cassazione annulla la condanna ad Annamaria Rame

Il Caudino
Valle Caudina, la Cassazione annulla la condanna ad Annamaria Rame

Il clan Pagnozzi ha segnato la storia criminale di questi ultimi cinquanta anni, prima con il capostipite Gennaro, soprannominato “ o giaguaro”, contrabbandiere napoletano che fu tra  i primi ad opporsi a Raffale Cutolo allorquando quest’ultimo voleva imporre una tassa  su ogni cassa di sigaretta commercializzata. La guerra tra “nuova camorra organizzata” e “nuova famiglia” era alle porte.

Ma è con il primogenito Domenico che il clan fa il “ salto di qualità” sotto il profilo criminale, prima riuscendo a resistere alla invasione dei casalesi nel territorio a cavallo tra le province di Benevento, Avellino e Caserta, poi partecipando alla cruenta guerra di camorra di Marcianise tra i Piccolo ed i Belforte,  ed infine esportando in tempi recenti  il “sistema camorra”  nella capitale, vicenda questa per la quale vi è   processo in corso presso la Corte di appello di Roma, ritenuto di rilievo nazionale, tanto da aver indotto il Presidente del collegio giudicante ad autorizzare la registrazione e la trasmissione delle udienze da Radio Radicale.

In una delle tante azioni di contrasto allo storico clan Pagnozzi fu tratta in arresto, insieme ai sodali,  anche la cinquantaseienne ed incensurata   Rame Annamaria, moglie del boss Domenico Pagnozzi, soprannominato “ il professore”.

La condotta attribuita alla donna dalla direzione distrettuale antimafia  era quella di aver retto il clan durante la sottoposizione al regime del carcere duro a cui era ed è tuttora sottoposto il marito, coordinando i vari affiliati, ricevendo le direttive da costui, nonché costituendo talune società in cui reinvestire i profitti illeciti del clan, gruppo che aveva interessi sia in Campania che a  Roma.

L’impianto accusatorio, fondato in larga parte su intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonché su servizi di osservazione, controllo e pedinamento, appariva fondato ; tant’è che in data 22.02.16 Rame Annamaria fu  condannata in primo grado ad anni 12, poi ridotti ad anni 10 di reclusione in data 23.05.17 dalla Corte di appello di Napoli – VI sezione -.

Il verdetto emesso dalla  Corte  di Cassazione,  relativo alla posizione di coloro che optarono per il rito abbreviato,  è stato sorprendente.

Hanno fatto breccia nei supremi giudici gli argomenti giuridici indicati nel diffuso ricorso proposto dall’avvocato  Dario Vannetiello.

Infatti, nonostante  il Procuratore Generale dott. Elisabetta Cennicola avesse concluso per la inammissibilità della impugnazione proposta nell’interesse della sig.ra Rame, la Corte di cassazione – II sezione penale – presieduta dal dott. Diotallevi e che ha visto come relatore il dott. Pellegrino, ha accolto in pieno il ricorso proposto dall’avvocato Vannetiello ed ha annullato in toto la sentenza di condanna nei confronti della donna, ordinando un nuovo giudizio innanzi alla Corte di appello di Napoli.

Viceversa, sono stati dalla Suprema Corte dichiarati inammissibili i ricorsi proposti nell’interesse del commercialista Fiore Umberto (condannato per una pluralità di reati  ad anni 11), dell’imprenditore Cavaiuolo Salvatore (condannato per concorso esterno ad anni 6), del boss Pagnozzi Domenico (giudicato responsabile in tale processo solo per reati di minore allarme ad anni 5). Mentre   la Corte ha rideterminato la pena nei confronti del braccio destro del boss,  Silenti Ferdinando, in anni 10 e mesi 8 di reclusione, riducendola di un anno e dichiarando sugli altri punti inammissibile anche tale ricorso.

Al momento degli arresti  suscitò indubbiamente  interesse sia la presenza del gruppo criminale nel salotto della città di Roma, sia il sofisticato tentativo di  introdursi nel sistema informatico protetto di una banca londinese per trasferire poi i fondi in una banca di Beirut, cercando di sfruttare anche la complicità di un direttore di banca,    di un esperto informatico e di un avvocato libanese.

Dopo aver ottenuto l’annullamento della sentenza di condanna da parte dei giudici “romani” , sulla scia del risultato favorevole,   l’avvocato Dario Vannetiello, in tempi record, ha ottenuto anche la remissione in libertà del “boss in gonnella”,  grazie ad una immediata istanza  che ha fatto leva su un  complesso calcolo dei termini di custodia cautelare previsti dal codice di procedura penale, modalità di calcolo che è stata anch’essa  condivisa dalla Corte di appello di Napoli – VI sezione – riunitasi urgentemente in camera di consiglio per decidere sulla richiesta.

E così, dopo circa tre anni, la moglie del boss ritenuto a capo di una organizzazione tentacolare –  operante  a cavallo tra le province di Benevento ed Avellino,   con diramazione nella zona di Napoli,  zona San Giovanni a Teduccio,   e  più recentemente anche nella città di Roma-,  ha potuto lasciare la casa circondariale di Lecce ove trovavasi detenuta in regime di alta sicurezza.

Adesso si dovrà attendere il deposito della motivazione della sentenza da parte della Corte di cassazione sia per conoscere quale tra i tanti  motivi di legittimità  formulati dall’avvocato   Vannetiello è stato condiviso sia per comprendere  quali sono state le ragioni che hanno portato la Suprema Corte a dichiarare addirittura inammissibili  tutti gli altri ricorsi.

Guadagnata ora la libertà, la sig.ra Rame dovrà stabilire se riprendere la attività di imprenditrice quale gestore della società Premier Energy s.r.l. che si occupa delle distribuzione di gas ed energia elettrica. Tale società  operava in Campania e nel Lazio prima del sequestro disposto dalla direzione distrettuale antimafia di Roma, poi revocato dal Tribunale penale di Roma – sezione misure di prevenzione – grazie  al certosino lavoro  difensivo.

Intanto presso il Tribunale di Benevento prosegue il processo a carico degli affiliati che optarono a suo tempo  per il rito ordinario la cui conclusione è prevista per la fine dell’ anno, mentre  per la prossima estate è prevista la conclusione del giudizio di appello per il processo “camorra capitale”,  il quale sta viaggiando parallelamente all’altra inchiesta che ha sconvolto i palazzi del potere capitolino, quella etichettata  “mafia capitale”.

La storia giudiziaria del clan Pagnozzi pare proprio che non è ancora finita.

Pur  essendo ancora pendenti vicende processuali relative a gravissimi reati, a differenza di molte organizzazioni camorristiche,   nel corso di questi decenni la vita del clan Pagnozzi è stata costellata da numerose assoluzioni e    da clamorose scarcerazioni, oltre  che essere  caratterizzata  da assenza di condanne all’ergastolo, queste  infatti mai inflitte  né ai Pagnozzi, né ai luogotenenti  della consorteria criminale.