Valle Caudina, la patacca del Traforo del Partenio
di Gianni Raviele
“Se la libertà significa qualcosa, questa è il diritto di dire alle persone ciò che non vogliono sentire”.
Questa frase di George Orwell, il grande scrittore inglese, è incisa agli ingressi degli studi della BBC, la leggendaria radio televisione britannica.
La massima, che mi colpì durante un servizio a Londra, mi ha poi accompagnato sempre nella professione e nella quotidianità.
E poiché il presidente della provincia di Avellino Biancardi è sordo e altezzoso, vogliamo rinnovargli l’invito a prestare attenzione ai suggerimenti, alle critiche, alle proposte che partono dalla Valle Caudina, la quale dovrebbe essere interessata e coinvolta nella realizzazione di un “traforo del Partenio” che la collegherebbe con il Baianese.
Il mutismo del capo di palazzo Caracciolo si è sciolto su qualche giornale. E così abbiamo appreso stupefacenti novità che rivelano l’improvvisazione, il velleitarismo, la vacuità di una classe dirigente che, progressivamente, ha portato alla deriva la nostra provincia.
Ascoltate, gente!
Biancardi incontrerà a breve il presidente della regione De Luca al quale illustrerà il progetto del tunnel, che dovrebbe essere lungo quattro chilometri. Per l’opera c’è già la copertura finanziaria: il lavoro sarà affidato ad una delle ditte specializzate che, bontà sua, rispetterebbe l’ambiente. La costruzione del traforo mobiliterebbe un largo indotto e, quindi, una pulviscolare pioggia d’oro cadrebbe sulla nostra Valle.
Un comitato di tecnici, politici, imprenditori è stato già costituito, ma Biancardi ha intenzione di allargare il perimetro per inserire altre personalità.
Quanto prima, il presidente della provincia terrà una conferenza stampa per spiegare l’utilità della infrastruttura.
Ed è in cantiere anche un convegno, in valle caudina, per fare il punto della situazione.
Dal giornale che ha pubblicato questi stralci di notizie, si apprende come degna cornice, che, all’ombra del Taburno, tutti sono lieti della straordinarietà economica che offre il tunnel e, ovviamente, tutti plaudono al “conducator”.
Un codicillo aggiunge che il traforo nulla toglie al completamento della Paolisi-Pianodardine, avviata dai nostri antenati, e all’ammodernamento della ferrovia Benvento-Cancello, la mitica Cartone.
Il rosario laico di Biancardi finisce qui.
Il lettore giudicherà i grani di questa inverosimile corona.
Sintetizzo il mio pensiero solo in due battute. L’iniziativa, di cui parla il presidente della provincia, è una fandonia, è una patacca. E’ il simbolo dello “scartiloffio”, innalzata agli onori della cronaca dai napoletani in cerca di fortuna in Europa. Merce, in superficie, bella a vedersi ma tappeto sdrucito, bucato e stinto nella trama interna. E’ un similoro che, all’apparenza, suscita stupore e desideri ma in concreto è piombo e oggetto vile.
Vorrei chiedere, inoltre, al presidente della provincia se, in questi giorni, ha letto i quotidiani nazionali. Tutti danno notizia dello stop al tunnel Torino-Lione, suggerito dai tecnici ed accettato, in sostanza, da una parte del governo sulla base del confronto tra costi e ricavi.
Davvero Biancardi crede che, con questi chiari di luna, ci siano governo o regione pronti a dare i soldi a noi per la costruzione di una galleria marginale, provinciale, limitata ad una piccola area?
L’illusione prende il posto della ragione. Infine consiglio alla prima autorità Irpina di non cadere in un’altra trappola. Il giornale che ha dato la notizia riportata in questo articolo, dice anche che la proposta del traforo è stata accolta con grande favore nella Valle Caudina. Posso assicurare al presidente Biancardi che non è così. E il motivo è semplice: alle pendici del Partenio, nei nostri paesi, non c’è uno che parli dell’iniziativa.
Un silenzio tombale avvolge l’argomento. La gente non legge, non si informa e, ad adiuvandum, non ha alcuna fiducia nella classe politica. E’ più interessata a temi della quotidianità: il reddito di cittadinanza, la pensione sociale, l’emigrazione. A questa ignoranza del problema e al totale disinteresse dell’iniziativa va aggiunto il soporifero sonno dei nostri amministratori comunali che condensano la pretenziosità e la piccola furbizia dei capetti locali. L’esperienza che con il Caudino abbiamo fatto su Caudio è servita a svelarci un mondo di nullità e di miseri sotterfugi.
Chiudo queste note chiamando in causa, come correi di un piano di emarginazione, messo in atto, in questi anni, quasi scientificamente, in danno della nostra terra, la Sovrintendenza di Avellino e Salerno. I politici si fermavano a Roccabascerana: la Valle era un bellissimo e suggestivo paesaggio, da vedere in lontananza. Siamo stati, per dirla in linguaggio moderno l’ultima Thule, il territorio ai confini con l’universo, svelato dalla sonda Horizons. Le Sovrintendenze ci hanno portato a conoscere solo la figura del ricercatore Carlo Franciosi, un archeologo appassionato e terragno che merita stima e riconoscenza per l’impegno e la cultura che ha riversato alle falde non solo del Taburno.
Da due servizi documentati di Vincenzina Ricciardi e Marika Remondelli, ho appreso che, qualche giorno fa, è stato inaugurato a Carife un museo archeologico di ottima fattura ed interesse scientifico; nello stesso periodo, si è saputo che la Regione aveva stanziato una congrua somma per il recupero ad Ariano dell’intera area archeologica di Fioccaglie.
Carife è un piccolo centro della Baronia. Il sindaco che, meritatamente, ha voluto il museo, ha detto di aver speso circa due milioni di euro che è una somma consistente per un minuscolo paese. Centro scientifico della raccolta: il Sannio e gli Irpini, tribù, come i Caudini, del fiero popolo che umiliò i romani.
Tutto ciò è stato possibile per l’intervento delle Sovrintendenze che hanno messo a disposizione della struttura culturale reperti di ogni tipo dalle armille ai crateri. Anche a Fioccaglie c’è stata la spinta dei funzionari dirigenti del nostro patrimonio antico.
Mi auguro che il museo di Carife si conservi e sia il volano della crescita culturale ed economica del paese. Rilevo solo che le Sovrintendenze hanno riservato il loro interesse all’Ufita, trascurando completamente da anni aree di pari rilievo, come Caudio. Sono secoli che nella nostra zona non si muove una zolla o compaia uno studio o una ricerca. Gli unici reperti sono stati visibili nella polverosa borsa del professore Franciosi. Sotto questo cielo plumbeo, vorrei sapere quanta gente ha visitato nel 2018 il museo di Montesarchio che, pomposamente, chiamiamo sulle indicazioni stradali “nazionale”.
Non attendiamo risposte. Per l’anno nuovo, un “catuozzo” di luce ai miei trentatré lettori. E a Caudio e al tunnel l’augurio di un lungo sonno immemoriale.