Valle Caudina: Promenade Mia di Giacomo Porrino

Il nostro autore è stato praticamente pedinato, leggiamo le sue riflessioni

Redazione
Valle Caudina: Promenade Mia di Giacomo Porrino

Valle Caudina: Promenade Mia di Giacomo Porrino. «Viaggiatore, non c’è sentiero, il sentiero si fa mentre cammini». Antonio Machado ci invita a vivere il più grande lusso sia mai stato dato esibire a ogni essere umano in grado di farlo. Un lusso di gran vaglia in questa parte di mondo è senza dubbio la facoltà di passeggiare accedendo facilmente al gran teatro della natura e della campagna nel caso segnato.

Il lusso di camminare

Pochi passi e si è subito dentro qualcosa che altrove è invece possibile solo immaginare se non in un contesto simulato. Un lusso che non necessita di alcun potere economico, chiunque è benvenuto a goderne. Anzi, chiunque farebbe decisamente bene ad avvalersene.

In questo periodo, sempre meno simile alla primavera cui eravamo abituati, papaveri, fiori di vilucchio e altri per me incogniti fiori gialli (forse tarassaco, forse lucertole fetenti, vai a sapere) sono buone presenze in forma di colore.

Accompagnano il cammino che dalla Torre, di cui un giorno pure sarebbe penso importante parlare diffusamente, conduce, lambendo i Campi Capitinoli, fino a quella che un tempo era l’estesa coltivazione di vigne della famiglia Ferace. La vigna dei Ferace, i Vignali o le Vignaline come in passato erano chiamati questi luoghi così mirabilmente disegnati da un abbraccio di colline che crea paesaggio.

Il brivido di essere pedinati

Ma oltre i compagni colorati lungo le strade ci si accorge talvolta di non essere soli. Si scopre, come m’è accaduto ieri, anche il brivido di essere pedinati, un pedinamento automobilistico. Una tipologia di pedinamento conforme alla pigrizia, un po’ meno a una sua efficacia. Forse perché l’intento voleva essere quello di esibire un pattugliamento del territorio più che un pedinamento propriamente detto.

E dire che avessero deciso di pedinarmi seguendo l’etimologia del lemma, a piedi per l’appunto, sarei stato gratificato almeno dall’aver contribuito alla salute di chi se ne è reso involontario protagonista. Bruce Chatwin avvertiva che «la vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada.La vita stessa è un viaggio da fare a piedi».

Ecco, camminare a piedi è noto faccia molto bene, contribuisce al controllo del proprio peso corporeo e soprattutto aiuta a pensare meglio. In qualche caso porta nientemeno alla clamorosa scoperta di averne uno, di pensiero. E magari si potrebbe rinunciare a inquinare inutilmente sprecando carburante, magari si potrebbe, perché no, addirittura camminare insieme. Me l’avessero chiesto, avrei ben volentieri accettato di passeggiare in compagnia raccontando qualche storia forse interessante.

Fare da guida e cicerone

Magari avrei spiegato loro il nome delle strade percorse, dei luoghi attraversati, del perché si chiamano così incluso quando e come hanno mutato il loro nome. L’importanza dirimente della toponomastica e della odonomastica, di tutto quel che ancora oggi possono rivelare.

Sono plausibilmente sicuro ciò avrebbe potuto in qualche modo affascinarli. Dopodiché avrei condiviso con costoro anche un buon caffè. Chi mi conosce sa bene come io non abbia mai rifiutato il dialogo con nessuno, con nessuno perlomeno non affetto dalla sindrome del bisbiglìo da cortile. Malgrado tutto, i «followers» a quattro ruote sono pur sempre persone che meritano considerazione e che suscitano un chiaro interesse scientifico, propriamente antropologico.

Ma se l’intento di questi tallonatori col pistone, di questi fujenti con lo pneumatico era quello di indurmi un qualche disagio, per non dire timore, fa abbastanza sorridere tanto è inconsistente anche solo in sede teorica una simile eventualità. Non sarebbe credibile neanche per una formica ubriaca di ritorno da un rave party di unicorni blu strafatti di ginseng al tamarindo. Ridicolo, appunto, nient’altro che tale.

Timore al contrario

Oppure il timore è il contrario. Un timore cioè che proviene da qualcuno che non si ha il potere di coercire esercitando ogni eventuale forma di pressione indebitamente realizzata. Un timore peraltro inutile: questi terremotati dell’astuzia manco si sono accorti che tutto quanto c’era da dire è stato già detto, non poche volte almeno dal 2006. Quale che sia la cosa, di certo c’è che ancora una volta – una volta di più – è evidente l’insieme dei segni di quel degrado antropologico che ormai da tempo cerco di segnalare, sembra invano.

Un degrado che appare ormai progressivamente irreversibile, sempre più rapido e via via corredato di segni e fenomenologie aberranti. Di una comunità ormai miseramente segnata da un fallimento culturale, umano, politico, sociale. Non diversamente da altrove, sia ben chiaro.

Una comunità in bolletta storica, che sconta la negazione delle sue migliori provenienze per consegnarsi alla mestizia del silenzio servile, al pallore della viltà senza destino, all’orrore dell’obbedir tacendo spesso contro i propri interessi. Se il passato poteva perlomeno presentare l’alibi della mancata conoscenza, del diniego alla possibilità della formazione, oggi neanche questa attenuante può più essere esibita.

Il tracollo di un insieme umano

Sicché è ben manifesto il tracollo verticale di un insieme umano non più in grado di esprimere un insieme che sia ancora umano. Ma solo il coagulo informe di indifferenti proni al servire il tirannello di turno e pronti alla ferocia infoiata verso il più debole.

Si percepisce nitidamente lo scadimento di un luogo ormai dimentico della bellezza che malgrado tutto variamente lo connotava. Una bellezza fatta anzitutto di ricchezza etnografica, della profondità quotidiana che proveniva da un vissuto storico inconsapevole e ciò nondimeno prezioso. Perché autentico.

Piazza presidiata e silenziosa

Oggi di autentico c’è solo il silenzio, quello di una piazza ormai presidiata solo da scherani ansiosi di segnalarsi per zelo involontariamente comico. Di cittadini sempre meno tali poiché indotti ad allontanarsi da ogni forma di partecipazione civica, chi scoraggiato perché isolato e chi invece volto ipocritamente a badare soltanto ai propri interessi. Dove il concetto stesso di civismo è stato sbriciolato sotto il peso della mediocrità al potere.

E tuttavia, è necessario ribadirlo, non esisterebbe alcun potere, specie nelle realtà piccole come queste, se non proveniente da tutti quelli che lo legittimano con la propria rinuncia. Vale a dire quelli che un tempo erano chiamati cittadini, oggi sempre più comparse di un rituale liso e impoverito, reso straccione dal lazzarismo sempre in agguato nella storia. Senza mai dimenticare che se il pastore lo chiama gregge, una ragione ci sarà. È veramente questo ciò che vogliamo per il nostro futuro?

Giacomo Porrino