Valle Caudina: i tunnel portano male
di Gianni Raviele
Scrivo questo articolo, mentre il Governo è sull’orlo della crisi.
I due dioscuri della politica italiana, Salvini e Di Maio, si sono infilati, per bizzarria strana e beffarda proprio in un tunnel del quale non si vede l’uscita.
Come finirà non lo so e non mi interessa più di tanto. Se fossi un allibratore, li darei alla pari: raggiungeranno un compromesso. Mi sorregge il motto latino che impregnò la politica romana: “Simul stabunt, simul cadunt”.
Tradotto significa: stanno insieme e insieme cadranno; in altri termini, debbono tenersi per mano, come i ciechi dello splendido dipinto di Brueghel il giovane, altrimenti precipiteranno contemporaneamente in un fosso.
Mi sia consentita, al di là di ogni altra valutazione politica, solo una piccola notazione. Riguarda il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Nella mia lunga vita non ho mai visto un premier, guida dell’esecutivo, più evanescente, fantasmatico, incolore di lui.
Sembra un sughero galleggiante, una spugna che assorbe tutto, strattonato da ogni parte; lui che, per natura, è sempre lindo ed elegante si veste di un abito stazzonato e pieno di toppe che gli hanno ritagliato addosso, per convenienza e furbizia cattiva, i due “lor signori” della politica italiana.
Chiedo troppo al professore Conte, titolare di una cattedra importante, come quella di Diritto Privato, nell’Università di Firenze, uno scatto di orgoglio, una rivolta morale ed intellettuale, la messa in campo anche della cultura e degli studi a fronte di due semianalfabeti, che non leggono un libro da anni, che come dice con linguaggio postmoderno Salvini, si “messaggiano” più volte al giorno?
O a Palazzo Ghigi, professore Conte, c’è sulla sua poltrona un “attack”, così aderente, così appiccicoso da farle dimenticare i suoi titoli, il suo curriculum e, presumo, anche i suoi sacrifici di studio?
Professor Conte, abbia un vibrante sussulto: tolga il disturbo, torni alle pandette, se non vuole rinverdire la fama di “Re Travicello”, fotografato dalla poesia di Giuseppe Giusti.
E torniamo a casa nostra, nel perimetro della provincia e della Valle Caudina.
Il presidente dell’amministrazione provinciale Biancardi è stato eletto, all’unanimità, a capo dell’Unione delle Province Italiane Campana: in sintesi, un ruolo di prestigio e di riconoscimento, a guida di un’associazione che, dalla sintonia di quattro province, può trarre qualche indicazione utile per il territorio.
Abbiamo criticato, in vari articoli, le linee programmatiche di Biancardi, esposte ad Avellino per l’Irpinia. Oggi, gli dobbiamo, almeno, fare gli auguri per l’incarico e la convergenza unanime sul suo nome. E, in tale ottica, ho tratto la convinzione che Biancardi sta rivedendo, per quanto riguarda la Valle Caudina, il suo ardito atteggiamento iniziale.
Si è svolta nel Baianese una riunione dei comuni della zona, fiorente ed operosa. Biancardi è di Avella, e giustamente, ha insistito sullo sviluppo dell’area che ha delle specificità importanti: è una rilevante produttrice di nocelle e di altre componenti agro alimentari; è collocata a ridosso dei mercati del Nolano e di Napoli; ha una infrastruttura di rilevo, come l’autostrada, che favorisce commercio e turismo. Biancardi non ha evocato più il tunnel, che avrebbe dovuto forare la catena del partenio e connettere il Baianese con la Valle Caudina. Spero che il suo silenzio si ail segno della cancellazione del progetto che ci sembrò, subito, irrealizzabile e che definimmo una “panzana”, stante i tempi che corrono.
La nostra contrarietà non è dettata dal rifiuto dell’idea del traforo in se valida. Ma era ed è convalidata da una riflessione realistica della situazione: si pensi solo a quello che sta succedendo per la Lione-Torino e se ne traggano le conclusioni.
Mi si consenta una battuta: i tunnel portano male.
Però, vorrei indicare a Biancardi un argomento che, per noi caudini, ritorna ossessionante ed è la cartina di tornasole per saggiare l’impegno e la fattività dei politici irpini e sanniti: la unificazione della Valle.
Il ruolo di presidente dell’UPI regionale gli dà gli strumenti e le possibilità di iniziative e proposte serie e concrete per intervenire su di un punto, che coinvolge molti comuni e il tessuto amministrativo ed economico di migliaia e migliaia di cittadini.
Biancardi saprà che la Corte Costituzionale, con una recentissima senta, che ha fatto scalpore, ha dichiarato “incostituzionale” la norma che, in pratica, dava ai comuni lo strumento legale per mettere insieme servizi e settori. alcuni comuni avevano così accorpato la Polizia Municipale, il servizio di tesoreria e via di questo passo.
Ci sono già polemiche sulla interpretazione del verdetto perchè esso minerebbe un principio fondamentale: il diritto di un comune di fare scelte di politica amministrativa.
I comuni della Valle Caudina stiano con gli occhi aperti e aspettino con estremo interesse, il deposito delle motivazioni delle sentenza della Consulta. Potrebbe accadere che l’associazione “Città Caudina” non abbia alcuna base giuridica; sia solo la manifestazione di un desiderio e di un’aspirazione. A zero -questo è sinora il valore della Città Caudina- si sommerebbe zero. E la frittata sarebbe completa.
C’è un ultimo punto che ci può riguardare come caudini. I lettori sapranno che il tema del “regionalismo differenziato” è stato, al momento, accantonato per un ennesimo scontro e successivo compromesso fra Salvini e Di Maio. Se ne riparlerà subito dopo le elezioni europee. La “secessione dei ricchi” per adesso non ci sarà. Ma, nelle prime battute dell’acceso dibattito sull’autonomia è emersa la proposta di costituire delle maxi regioni. Per il Sud il principale fautore dell’iniziativa è l’onorevole Caldoro che è stato presidente della Regione Campania. Ci sarà tempo per dare un giudizio sul progetto, mancano ad oggi, le conoscenze di punti chiave: l’estensione della maxi regione, l’armonizzazione degli interessi di città metropolitane o di capoluoghi di provincia, come si strutturerà l’ente che dovrà servire una miriade di paesi, che vanno dalla provincia di Caserta alle province di Reggio Calabria.
Ma, all’interno del dibattito, è emersa una sollecitazione ed una iniziativa che ha già allungato una piccola radice in Parlamento. Sulla scorta dei suggerimenti di alcuni studiosi, specie di storici, a Montecitorio si è avanzata l’idea di “rivedere i confini territoriali dell’Italia” e di ridisegnare la mappa del nostro Paese, che fu tracciata quando eravamo l’italietta ma ci unificammo.
Oggi non siamo più una espressione geografica, come ci definì Metternich, siamo un paese moderno con nuovi interessi e con prospettive anche di mercati mondiali. La proposta di riveder e i confini e le strutture territoriali ci deve allertare, impegnare, seguire, con estrema attenzione l’evolversi della discussione civile e culturale. E’ una lucina, un punto di attacco rilevante, forse irripetibile. Esso travalica ogni interesse di parte; tutti vi si possono riconoscere senza etichette e senza stemmi di appartenenza.
Il percorso è lungo e in salita. Ma bisogna imboccare questo sentiero. I latini dicevano: “per aspera ad astra”. Le difficoltà ci portano alle stelle. Ricordiamoci che l’alba è sempre più lunga dell’aurora.