Aerola di Giuseppe Falzarano. Storia socioculturale dell’Airola che fu
Recuperare la conoscenza del passato come precondizione di un rilancio nel presente. È da queste premesse che prende il via il lavoro storico di Giuseppe Falzarano condensato nel corposo volume Aerola. La mia Airola (Edito dall’autore, 2017, pp. 350). Il libro, diviso in due ampie sezioni, rispettivamente dedicate a fatti e storie della tradizione e ai luoghi di culto airolani, è frutto di un lungo percorso di ricerca amatoriale, che, nondimeno, riprende alcune delle questioni affrontate da altri testi di storia locale, recenti (i lavori di Giulio Amore, Angelo Raffaele Capone, Raffaele Caporuscio, Lorenzo Di Fabrizio, Giacomo Rivetti, Ettore Ruggiero, Padre Domenico Eugenio Tirone) e meno recenti (i contributi, ormai storicizzati, di Domenico Bartolini, Alfonso Maria Jannucci, Giuseppe Montella e altri).
In ogni caso, nella prima presentazione del volume, domenica 25 giugno presso la Chiesa di San Domenico ad Airola, le questioni e i metodi della ricerca storica del lavoro di Falzarano sono stati ampiamente trattati da Raffaele Caporuscio, che ne ha delineato le cornici storico-sociali. In quell’occasione, unendomi agli altri interventi di Paolo Iorio ed Ettore Ruggiero, ho provato invece a tratteggiare brevemente gli aspetti socioculturali delle preziose rievocazioni storiche dell’autore. Riprendo in questa sede alcune di quelle considerazioni.
Falzarano ammette candidamente che la sua ricerca è mossa da profonda passione e amore per il passato e le future sorti di Airola, senza auto-attribuirsi patenti di storico professionista (come molti, impegnati in lavori altrettanto amatoriali, invece troppo spesso fanno: ma questa è un’altra storia).
Nell’evidenziare i limiti della propria metodologia di indagine, rivelandone la natura sostanzialmente autodidatta, in realtà l’autore stabilisce un patto con il lettore, conducendolo per mano in un appassionato (e appassionante) tragitto attraverso luoghi, spazi e personaggi dell’Airola del passato. Eventuali imprecisioni o errori in buona fede lasciano così il passo al piacere di riassaporare usanze, costumi, tradizioni e fatti del passato. Per quanti, come chi scrive, appartengono alla generazione di mezzo, cresciuta negli anni Ottanta, quando l’eco di antichi riti era ancora viva sebbene prossima al definitivo spegnimento, una simile lettura rappresenta un prezioso puntellamento di una rete di ricordi già slabbrata, e altrimenti destinata ad essere inesorabilmente spazzata dalla furia del presente.
Assumono così, in tale luce, una specifica rilevanza le righe destinate ad eventi tipici del passato, attraverso cui rivivere il filo di emozioni inscritte nelle storie familiari e amicali: è il caso, per esempio, del catuozzo, il tipico falò che, un tempo, illuminava le notti delle vigilie di Natale e Capodanno in diversi rioni airolani (e che oggi sopravvive a stento nella sola piazza Borgo). Altrettanto rilevante è la descrizione di mestieri (e di quanti li svolgevano…) spazzati dal progresso (come Tittariello il banditore) o che hanno segnato la vita sociale di diverse generazioni (si pensi soltanto a quanti airolani sono cresciuti con gli slogan di zi’ Aniello il venditore di noccioline).
La paziente ricerca di Falzarano esibisce un rigore antropologico che gli consente di osservare le profonde modificazioni nella sensibilità collettiva di Airola. In questo modo giovani e giovanissimi, se debitamente stimolati in famiglia e, perché no, attraverso percorsi educativi ad hoc pensati per le classi primarie e secondarie, potranno immergersi negli esuberanti giochi da strada e il loro portato di vicende e aneddoti (mazz’ e piveze, la settimana, acchiaparella, ecc.). O ancora riassaporare i gustosissimi, ancorché elementari, piatti della tradizione contadina airolana, che ai meno giovani rievocano gli irresistibili profumi delle pietanze popolari che fuoriuscivano dagli uscii di alcuni quartieri (dalla Bagnara al Borgo e a San Michele). Paste a fagioli, patate e fagioli, pasta e ceci, le verdure fritte, la minestra: prelibatezze semplici che rinviano, oltre che a consolidate abitudini alimentari, a un rapporto diretto e immediato con i cicli delle coltivazioni, con le stagioni e i frutti della terra. In questo senso, la variazione dei gusti e delle routine nutrizionali rinvia a una più profonda riconfigurazione degli stili di vita, che nel corso dei decenni si sono marcatamente approssimati a quelli cittadini e che presentano oggi, nell’epoca digitale, sfumature di un consumo globalizzato. La globalizzazione, se, per un verso, apre positivamente gli angusti limiti della cultura provincialistica e chiusa dell’entroterra sannita, dall’altro rischia di recidere il cordone con tradizioni incistate nella storia dei territori e delle famiglie. Altrettanto meritevoli sono le ricostruzioni di proverbi e detti e dei soprannomi, che rivelano un aspetto peculiare dell’airolanità, riassumibile in un certo gusto per lo sfottò – ovvero la tendenza a ironizzare sui problemi, le piccole e grandi tragedie quotidiane, gli sgambetti della sorte e le ingiustizie della politica. Senza dimenticare il breve excursus sul calcio, che è stato attività centrale nella vita socioculturale di Airola e, in verità, avrebbe meritato trattazione più ampia.
Con altrettanta cura, Falzarano ricostruisce la storia dei luoghi culto, senza tacere le offese apportate al patrimonio artistico airolano da scellerate scelte politiche (l’abbattimento della Chiesa di San Giorgio, che ancora grida sangue) e dall’incuria delle istituzioni, laiche ed ecclesiastiche.
Se ci fosse un pregio solo con cui riassumere questa fatica encomiabile di un airolano che non ha mai smarrito l’umiltà delle proprie origini contadine, non potremmo che citare lo slancio civico di Falzarano: l’autore, infatti, evita sistematicamente di trasformare i propri taccuini in cahiers de doléances, precisando che l’obiettivo di annotazioni critiche e nostalgici richiami al passato, è nutrire l’orgoglio degli airolani, nella speranza che essi pongano rimedio al degrado attuale. In questo senso, alcune buone notizie arrivano dalle associazioni territoriali, promotrici di encomiabili manifestazioni internazionali nel campo della musica (il Concorso Internazionale “Città di Airola”) e della street art (il festival “In Wall We Trust”), attive nella promozione del teatro, dello sport, del volontariato, dei borghi (il Borgo, San Donato), delle feste religiose tradizionali.
Il testo di Falzarano, pur con alcuni evidenti limiti strutturali dovuti alla sua amatorialità, potrebbe anche stimolare un più dibattito sulle modalità di comunicazione e trasmissione della storia locale, in cui necessariamente coinvolgere le istituzioni scolastiche e amministrative per il varo di progetti educativi, auspicabilmente centrati su media e tecnologie avanzate (videogames, social, piattaforme digitali, ecc.).
Mario Tirino