Airola: lettera aperta in difesa del greco

Redazione
Airola: lettera aperta in difesa del greco
Airola: lettera aperta in difesa del greco

Airola: lettera aperta in difesa del greco. L’uso delle lettere dell’alfabeto greco per individuare le varianti del covid ha provocato la reazione di due  studentesse del Liceo Lombardi di Airola che hanno inviato questa lettera aperta in difesa della Lingua Antica. La lettera è stata ridotta, senza alterarne il significato, per esigenze giornalistiche.

 Lettera aperta

Caro Greco, non avrei mai immaginato di arrivare a questo punto: per la prima volta sono qui a difenderti, quando sei sempre stato tu a difendermi dalle intemperie della vita. Sei l’unica lingua che non morirà mai, anche se tanto temuta dagli studenti, forse perché dietro di te c’è una storia che è diversa da quella delle lingue di oggi. (…)

A causa di questa terribile pandemia, il mondo è diventato sempre più grigio, sempre più mascherato, ma tu ci hai quotidianamente dato la speranza e la giusta dose di bellezza per continuare a desiderare e sperare in un futuro migliore.

Quando mi apprestai a varcare la soglia del liceo classico “A. Lombardi” di Airola per la prima volta in questi cinque lunghi anni… mi ritrovai, mossa da un’enorme curiosità, a sfogliare le pagine del mio nuovo libro di greco, dalla copertina blu e con su una scritta per me incomprensibile.

Lo spavento iniziale

Credo sia inutile dire che, inizialmente, ne rimasi spaventata: tutte quelle lettere dalle forme particolari mi sembravano troppo grandi e quasi non mi sentivo all’altezza di “maneggiarle …Con il passare dei giorni, però, pian piano mi sono resa conto del fatto che cominciavo, imparando a conoscerla, ad innamorarmi di questa lingua, proprio come accade tra persone. (…)

Lo sconcerto per l’uso delle lettere

E’ per questo che mi ha lasciato interdetta, negli ultimi mesi, sentir pronunciare ovunque i nomi delle lettere greche associate a termini come “variante” e “Covid”. Ricordo, infatti, che, quando ho sentito parlare per la prima volta di variante “delta” o “omicron”, ne sono rimasta alquanto sconcertata.

Questa mia reazione iniziale credo possa sembrare, agli occhi dei più, esagerata e forse anche fuori luogo, ma posso assicurare che non è assolutamente così e adesso spiegherò anche il perché. Credo, tuttavia, che mi ci voglia un po’ di tempo; a questo punto, direi, è il caso di cominciare dall’inizio!

Sappiamo tutti come questi tempi di pandemia, che siamo costretti a vivere, stiano influenzando le nostre vite in ogni loro aspetto e forse ne stiano anche modificando il corso.

Ogni giorno, dunque, tutti noi siamo chiamati a combattere contro un orribile nemico invisibile, subdolo ed astuto, che, come ha dimostrato, riesce ad anticipare le nostre mosse, mutando la sua natura, “variando” appunto.

Vengono, infatti, scoperte nuove forme del “mostro”, che prendono il nome del paese in cui sono state rilevate per la prima volta. Nel giugno 2021, poi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) annuncia di affiancare al nome scientifico delle varianti anche un altro, indicato con alcune lettere dell’alfabeto greco.

Perché si prende questa decisione?

Per evitare che si discrimino i paesi in cui le varianti sono state scoperte inizialmente. Ad oggi, sono già state utilizzate dieci delle ventiquattro lettere greche. Adesso che sembra tutto più chiaro, vorrei pormi una domanda.

Come mai non si può parlare di “variante” inglese o indiana o sudafricana perché i cittadini di questi paesi potrebbero risentirne e, al contrario, è possibile utilizzare le lettere dell’alfabeto greco per classificarle?

Lingua come testimonianza

La lingua greca, infatti, è la reale testimonianza della civiltà e della cultura di un popolo esistito secoli fa, ma pur sempre esistito; esso ha trasmesso al mondo occidentale valori e principi a cui ancora oggi ci s’ispira.

Il fatto che non sia più una lingua d’uso e che venga, quindi, considerata “morta” – forse sarò di parte ma, al contrario, credo sia più viva che mai per il suo saper essere sempre così attuale – non dà diritto a pensare che se ne possa far ciò che si vuole.

I Greci, infatti, usavano quella lingua per i loro viaggi, per comunicare, per discutere, per insegnare, per scrivere di magnifiche imprese e semplicemente per dirsi “ti amo” o “ti voglio bene”. (…)

Una brutta scoperta

Mi piace interrogarmi su cosa potrebbero pensarne, ad esempio, gli Ateniesi o filosofi come Platone, Socrate, Eraclito, Aristotele o storici come Erodoto e Tucidide: sicuramente per loro non sarebbe una bella scoperta e – come si è soliti dire – si rivolterebbero nella tomba!

Provo ad immaginare uno di loro che, se sapesse in che modo è stato utilizzato l’alfabeto della sua lingua e ne avesse la possibilità, correrebbe a lamentarsi della faccenda direttamente con l’OMS, facendo valere le sue ragioni (ovviamente esprimendosi nella sua lingua).

Per amore del greco

Ciò che chiedo … è che la comunità scientifica riconsideri le sue scelte e trovi un’altra soluzione per definire le mutazioni del nostro “carissimo” Covid. Non posso accettare che io debba essere, in un certo qual modo, “costretta ad odiare” queste lettere alle quali sono tanto legata …. (…)

Vorrei concludere con un pensiero rivolto “a quelle lettere dalle strane forme” di cui parlavo all’inizio, le quali sono riuscite in poco tempo a farsi conoscere per ciò che sono davvero e a farsi strada nel mio cuore, dove si sono ritagliate un angolino in cui rimarranno per sempre.

Quando mi cimento nella lettura o nella traduzione di un testo in greco, so già che sto per intraprendere un’avventura che potrà riservarmi innumerevoli sorprese, catapultandomi in un’altra dimensione totalmente differente eppure attualissima, in cui riesco sempre a ritrovarmi.

Ogni qual volta, poi, termino il mio viaggio e chiudo il mio libro dalla copertina blu, mi rendo conto del fatto che, in realtà, qualcosa in me è cambiato rispetto al momento in cui l’ho aperto.

E così, parola dopo parola, testo dopo testo, ho la possibilità di riflettere, immedesimarmi, arricchirmi e soprattutto crescere. Sono certa del fatto che domani, qualsiasi cosa vorrà riservarmi il futuro, sarò sempre grata a quelle lettere greche, che tanto mi spaventavano. (…)

Un messaggio in greco antico

Ritorniamoci, leggendo i poemi di nostro padre Omero, ritorniamoci, leggendo i frammenti di Saffo. Ritorniamoci, sognando: “Back to the Greeks!” (Oddio, no, l’inglese no! E ora chi glielo dice al mio prof di greco? Meglio evitare…).

Ah, dimenticavo una cosa, cioè che, quando, prima o poi, la pandemia sarà finita, un desiderio-richiesta l’avrei: mi piacerebbe, infatti, che su ogni quotidiano, ad ogni notiziario di ogni paese del mondo, praticamente dappertutto ci fosse un messaggio di speranza dettato in greco antico, proprio la lingua che si studia a scuola.

Come, infatti, sono state adoperate le lettere greche per dare il nome alle “celebri varianti” allo scopo di facilitare la comunicazione, allo stesso modo sarebbe interessante servirsene per annunciare all’umanità un nuovo inizio.

Ovvero la sconfitta del terribile “mostro”, che per un bel po’ si era impossessato delle nostre vite. E perché no, dunque: “ἡ τῆς νέας ὑπαρχῆϛ ἐλπίς ἔρχεται· ἡ ἀναβίωσις” (“giunge la speranza di un nuovo inizio: il ritorno alla vita”)

Raffaella Teti, in collaborazione con Chiara Marotta IIA Liceo Classico “A. Lombardi” di Airola