Il tempo ai tempi del coronavirus
Per ogni cosa c’è il suo momento,
il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
C’è un tempo per nascere ed un tempo per morire,
un tempo per piantare ed un tempo per sradicare.
Un tempo per uccidere ed un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere ed un tempo per ridere,
un tempo per gemere ed un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi ed un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare ed un tempo per astenersi dagli abbracci.
Un tempo per cercare ed un tempo per perdere,
un tempo per serbare ed un tempo per buttar via.
Un tempo per stracciare ed un tempo per cucire,
un tempo per tacere ed un tempo per parlare.
Un tempo per amare ed un tempo per odiare,
un tempo per la guerra ed un tempo per la pace.
Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?
( Ecclesiaste 3,1-11)
Queste parole sembrano le più appropriate ai tempi del coronavirus, quando ha più senso concentrarsi sul rapporto tempo, interiorità, vita trascorsa, futuro, quando ci occorre un metodo per ristabilire l’equilibrio morale e recuperare la salute dello spirito, quando la atemporalità diventa l’essenza stessa della vita umana, quando il tanto vituperato ‘perder tempo’ potrebbe essere invece una modalità di crescita per creare spazi di meditazione in antitesi a ritmi convulsi e frenetici.
E così potrebbero esserci di conforto anche queste altre parole di E. Frescani, tratte da ‘Elogio della lentezza’: “Osservare lentamente le cose significa coglierne tutti i particolari, farle entrare dentro di sé e farle proprie….aiutandoci a scoprire una realtà molto diversa…E’ stata la corsa della vita che ci ha fatto smarrire il senso della lentezza, la gioia del tempo senza tempo…come quando si era bambini ed il tempo non aveva nessun valore” .
E’ probabilmente morta la generazione dei nostri nonni, quella che aveva vissuto l’esperienza della guerra mondiale e le sue conseguenze e che aveva anch’essa subito l’esperienza del tempo sospeso e poi ripreso. La nostra generazione invece è quella che dagli eccessi del consumismo e del superomismo si è ritrovata a fare i conti con qualcosa di inatteso ed inimmaginabile legato agli effetti del terribile e disastroso coronavirus, che ci ha insegnato a conoscere il contagio diffuso, il distanziamento sociale e la solidarietà internazionale.
Essa è stata drasticamente sollecitata a riflettere sulla unicità della persona e del momento presente, sull’educazione all’attesa e allo stare CON persone e cose, sulla scoperta della immensa fragilità umana e sulla consapevolezza di dover sostenere sfide della vita, affrontate con equilibrio rinnovato e ritrovata chiarezza.
Cogliamo dunque da questa tragica esperienza moderna una educazione al tempo, per capire finalmente che esiste un tempo come essere, un tempo come valore, un tempo come senso in tutti i suoi momenti, soprattutto quelli più difficili.
Maria Pallante