In miniera a 800 metri di profondità per 400 grammi di pane al giorno: la storia di Vincenzo
Per quasi un anno e mezzo non ha mai visto la luce del sole. Veniva buttato giù dalla branda prima dell’alba. Scendeva in miniera. E risaliva dopo almeno dodici ore di lavoro quando il buio del buco nella terra lasciava il posto al buio del cielo.
La storia di Vincenzo Ettorre andrebbe raccontata nelle scuole della Valle Caudina. Peccato che nessuno abbia mai pensato di farlo.
Almeno ieri, però, la Prefettura (e quindi la presidenza della Repubblica) si è ricordata di lui conferendogli la medaglia al valore per la sua esperienza. Solo che Vincenzo se ne è andato lo scorso 8 maggio all’età di novantacinque anni.
La storia
Gli piaceva raccontare la sua storia e infatti ha scritto tutto in un diario scarno, preciso ed agghiacciante.
Vincenzo nasce il 15 novembre del 1924. A soli diciannove anni viene chiamato alle armi e, come si legge nel suo diario, agli inizi di agosto del 1943 finisce in Friuli Venezia Giulia. Qui, dopo poco, viene imprigionato dai tedeschi.
Prima alleati e poi nemici dopo l’8 settembre, Vincenzo subisce la sorte di oltre 600mila nostri connazionali. Viene deportato nel campo di lavoro a Hindeburg, una piccola città della Polonia fondamentale per l’esercito nazista: qui ci sono le miniere di carbone.
Ed inizia in questo luogo “scuro” (come scriverà proprio lui) la sua prigionia fatta di turni estenuanti di lavoro, quattrocento grammi di pane e un pezzo di margarita. “Quando siamo fortunati – scrive – troviamo una patata. Altrimenti è solo acqua”.
La vita
La vita scorre così e il cittadino di Roccabascerana racconta vari episodi come quando, nelle docce, gli rubano la giacca militare e lui è costretto a stare solo con una maglia al gelo delle temperature polacche fino a quando ne trova un’altra. Un suo commilitone, però, la reclama e per non segnalarlo per furto all’autorità tedesca pretende il rancio di due giorni. Il giovane ventenne è costretto a cedere. Il sergente tedesco faceva molta paura.
Lavorava insieme a polacchi e ucraini nel gruppo “O 17”, annota nel suo diario.
Un giorno parlano di politica e qualche traditore avverte il capo squadra tedesco il quale fa la spia al sergente.
Quest’ultimo è implacabile.
La sera, risaliti dalla miniera, li fa adunare al freddo sull’attenti. Uno alla volta deve entrare nell’ufficio del nazista e qui subisce ben diciassette vergate perché non bisogna mai parlare di politica.
Mentre nel campo il tempo è fermo, fuori i tedeschi perdono posizioni e battaglia e la guerra prende una piega sfavorevole per Hitler.
Ecco allora che arriva un ordine di evacuazione per i prigionieri militari.
Ettorre è trasferito su una montagna a tagliare legna al freddo o al caldo terribile. Non fa differenza. La legna va tagliata.
I russi
Al successivo ordine di trasferimento le cose vanno diversamente.
Il “carico di italiani” in marcia viene intercettato dai soldati russi. Sono arrivati a due passi dalla Germania.
Loro urlano di essere italiani e il ricordo di Vincenzo è benevolo verso l’Armata Rossa. “Ci hanno portato in una città vicina e finalmente ho potuto mangiare. La sera, poi, i romani e i napoletani organizzavano uno spettacolino e i sovietici si divertivano tantissimo”. Tutto ciò avviene nel febbraio del 1945.
La guerra finisce e Vincenzo Ettorre viene rimpatriato il 26 settembre del 1945.
Finisce a Verona il 18 ottobre e finalmente il 26 dello stesso mese arriva a Napoli. Da qui a Tufare il passo e breve e finalmente potrà riabbracciare la sua famiglia.
“Di questa esperienza mi resta la gavetta: qui ho mangiato per 28 mesi e la conservo ancora”.
Sono le ultime annotazioni sul suo diario.
Vincenzo, la storia di un italiano.
Angelo Vaccariello