La difficoltà della scelta

Redazione
La difficoltà della scelta

La difficoltà della scelta. L’estate post maturità giunge al termine e la fine della scuola, spesso non per vocazione ma per necessità, è tempo di scelte, influenzate da un assurdo numero chiuso universitario, dal bisogno di sganciarsi dal nucleo originale, dalla necessità di dare un aiuto alla propria famiglia.

La società della performance

Nella società della performance, il passaggio al mondo degli adulti avviene in maniera così repentina che è davvero complicato, per un diciannovenne, inserirsi in questa realtà talvolta sfacciata e crudele. Ciò che si chiede è di avere le idee chiare sin da subito, di comprendere, sulla base dei primi due decenni di vita, come investire i successivi. Non è concesso sbagliare, perché perdere anche solo un anno significa arrivare in ritardo nella gara alla produttività. Non c’è tempo e modo per fiorire, conoscersi, imparare ad imparare.

“Ogni volta che scegli, scegli il tipo di schiavo che non sarai”. Ma quanto è difficile scegliere?

Kierkegaard sosteneva che l’angoscia fosse quella vertigine provata dinanzi alle infinite possibilità e libertà che costituiscono la vita e che nascesse, inevitabilmente, nel momento esatto in cui l’io si rapporta con il mondo.

Trovare la propria dimensione

Ben presto, l’ambiente sicuro e tutelato dei banchi di scuola diventa lo spazio universitario o il luogo di lavoro; il docente con cui si era instaurato un rapporto di stima e confronto, il “capo” o un professore per cui, molto probabilmente, rimarrai sempre e soltanto un numero di matricola. Purtroppo, non c’è alcun orientamento svolto all’ultimo anno di liceo che regga il confronto ed il disagio provato da un ragazzo nel momento in cui ci si accorge che forse dai 18 anni poi non sarà semplice scovare il proprio “locus amoenus”.

La verità è che trovare la propria dimensione, andare oltre il pregiudizio, cambiare idea, cadere per poi rialzarsi è l’unico vero varco che consente di accedere al mondo degli adulti e, quando finalmente anche i più lo comprenderanno sarà, ormai, già tardi.

“L’Italia non è un Paese per giovani” non è poi tanto un luogo comune e sta alla mia generazione impegnarsi, quotidianamente, affinché tutto ciò cambi. Manifestare il dissenso, credere in una meritocrazia che non crei voragini tra chi riesce e chi no, ignorando quanto questo strumento sia fortemente influenzato dalle condizioni economiche, culturali, sociali e di provenienza di un individuo, è chiedere forse tanto? La risposta è ovviamente no. Basterebbe un po’ più di fiducia per far valere, come è avvenuto in passato, i diritti all’esistenza dei giovani.

T.V.