La vera rivoluzione è la solitudine
Oggi resterò qui seduta e non condurrò il passo giù nella caverna.
Ho il cuore che lacrima e le membra che rifiutano il vigore.
Non è stata di certo la maniera ospitale ad accogliermi la volta scorsa: derisa, beffeggiata, bollata come eretica e condannata a questo tempo solitario.
Il vento ulula con veemenza e le foglie si agitano, si rincorrono con frenesia e rassomigliano a noi quando ci affrettiamo a raggiungere quel sogno o quell’ambizione.
Ma più di ogni altra cosa l’uomo s’appresta a raggiungere il suo simile, sperando in tal maniera di trovare ristoro all’affanno della solitudine.
La corsa è sì frenetica: come belva famelica la scarna solitudine ci spinge in avanti e divora il raziocinio, cosicché spesso ci capita di sprofondare tra le braccia del primo viandante. Il viandante ci accoglie e ci abbraccia, non accorgendosi però che il filo che unisce è più sottile del cotone.
Perché vi disturba il silenzio? Perché vi spaventa il giaciglio solitario e il tempo senza consorte?
Veniamo gettati sulle sponde della vita senza premura alcuna ed il vagito prepotente già preannunzia che la vita non sarà luogo ameno. Ci affrettiamo così ad imbottire il tempo delle nostre giornate proprio come, alle volte, riempiamo lo stomaco non spinti dalla fame ma dalla sconfitta e dall’affanno. Ci mettiamo dentro persone prese a caso, amici con i quali abbiamo in comune solo le sembianze antropomorfe ed amori destinati a durare il tempo di una stagione.
Ma arriva sempre il momento in cui le mura sono vuote e l’anima nostra è costretta a stare sola con se stessa, ad ascoltare il peso del tempo passato e la frenesia di quello che s’appresta a venire.
Seduta su questa panca, allora, spalanco le braccia a me stessa e decido di accogliermi, poiché solo l’uomo che ha deciso di amarsi può cospargere amore tutt’intorno.
Alessia Mainolfi