Moiano: 1822, un’altra occasione perduta

Redazione
Moiano: 1822, un’altra occasione perduta

Moiano: 1822, un’altra occasione perduta. Se il 2021 si era concluso con un importante anniversario completamente dimenticato, che ho voluto segnalare proprio sul finire dello scorso anno (gli apparati di stucchi di Giovan Battista Antonini in San Sebastiano del 1721), anche il 2022 si appresta a essere consegnato alla cronologia senza che nessuno si sia accorto di un altro e non meno importante anniversario.

Se infatti qualcuno si fosse incuriosito alla lettura del patrimonio epigrafico esistente in Valle Caudina si sarebbe accorto che proprio nel 2022 è ricorso il duecentesimo anniversario della costruzione della torre campanaria della chiesa di San Pietro apostolo di Moiano.

Opera di quel Domenico Brunelli (diversamente da quanto erroneamente affermato altrove) che sul finire del XVIII secolo attendeva contestualmente alla Annunziata di Airola, come ebbi modo di presentare al pubblico ormai venti anni orsono.

Un’altra occasione perduta, come sovente accade da molto tempo a questa parte. E che tuttavia è ancora possibile recuperare in parte nel novero di quelle iniziative legate alle imminenti celebrazioni vanvitelliane, che si spera siano caratterizzate una volta tanto da serietà e rigore.

Vero è come i caratteri che compongono la iscrizione della lapide del campanile siano meno intellegibili, vero è come altri caratteri di altre iscrizioni, di dubbia liceità e asserito pessimo gusto, risultino fin troppo evidenti, ma tant’è: c’è proprio scritto 1822.

Sono trascorsi due secoli

Sono quindi trascorsi due secoli, lungo i quali il campanile moianese ha subìto numerosi danni da eventi naturali avversi e da prevedibili fenomeni di degrado. Conseguentemente, com’è facile intuire, numerosi sono stati in questi duecento anni gli interventi di ripristino e di restauro cui il campanile è stato sottoposto.

Ora, se solo in passato si fosse deciso di solennizzare ogni operazione di recupero con una lapide, semplicemente noi oggi non vedremmo più un campanile ma una moltitudine di epigrafi che ne impedirebbe finanche la vista.

Ciò per dire di quanto sia necessaria una valutazione attenta e non avventata o, peggio, scriteriata ogni volta che si pensa alla ipotesi di una lapide. Valutazioni, in altri termini, che rispondano necessariamente alle reali esigenze volte alla tutela del bene molto più che alla tutela delle esigenze di chi si fa promotore di velleità del tutto transeunti.

È sempre lecito attendersi da chi svolge un ruolo pubblico, quale che esso sia, il rispetto delle leggi, della trasparenza, della correttezza e soprattutto dell’amore per la comunità e la terra che questa abita.

E se non si dovesse essere mossi da amore, a maggior ragione ci si attenderebbe un rigore ancor più serrato, più accurato, più prudente. Poiché ciò che non si ama occorre capirlo almeno una volta in più, sempre che si sia provvisti degli strumenti adeguati per farlo.

Il santuario della Madonna della Libera

Ma nel frattempo, nel corso dell’anno che si chiude oggi, è stato istituito un santuario. Quello della Madonna della Libera. Orbene, se in linea di mero principio ciò trova un certo consenso generalizzato, è altrettanto vero come le stesse ragioni debbano però portare di mera conseguenza ad altre considerazioni. Tutte rigorosamente legate fra di esse. Tre delle quali mi limiterò al momento ad elencare succintamente per ragioni di spazio.

Santuario mariano di rango diocesano

Il santuario in questione è un santuario diocesano, per dire altrimenti si tratta di un santuario mariano di rango diocesano. Esistono infatti tre differenti tipologie di santuario: quello diocesano, quello pontificio, quello internazionale.

Quello istituito a Moiano è, come detto, diocesano. È stato voluto e istituito dall’ordinario diocesano. Non è in alcun modo un santuario ascrivibile a una volontà di rango papale, come era peraltro facilmente intuibile. Chi ha voluto crederlo è solo un disinformato. Chi ha lasciato crederlo è solo un disinformatore.

Nessuno è stato poi sfiorato da una domanda, cui invero sarebbe stato abbastanza facile pervenire. Come mai monsignor Vincenzo Mango senior, colui che ha plasmato la forma contemporanea del culto della madonna nera moianese, monsignor Vincenzo Mango junior, don Roberto Cesare e don Valerio Piscitelli, sebbene pure se ne fosse parlato in qualche momento come nel caso di don Roberto Cesare, non hanno mai voluto operare concretamente per l’istituzione di un santuario?

Forse che mancassero di mezzi culturali, teologici, pastorali, umani per questo scopo? Erano costoro forse distratti da altro o non particolarmente mossi da motivazioni sufficienti? Vogliamo davvero crederlo? Naturalmente non si tratta di questo.

Il culto di Santa Maria di Moiano

Il fatto è che, i sacerdoti prima ricordati, pastori molto amati dalla loro comunità, avevano ben compreso come il culto di Santa Maria di Moiano fosse tanto autentico, tanto profondamente radicato nella storia, icasticamente trasfigurato nel vissuto della religiosità e dell’etnos dell’intera comunità moianese, da non aver necessità di alcuna forma di riconoscimento codificato.

Poiché è semplicemente il proprio vissuto storico, il solo suo vero codice, il solo documento che certifica la concretezza di una esperienza di fede nella prospettiva storica di una antropologia di grande preziosità, di riconosciuta singolarità.

«Summa veneratione persequuntur», una delle molteplici maniere con cui le fonti antiche ci raccontano di come tale culto fosse già nei secoli addietro profondamente radicato nelle popolazioni caudine.

A Moiano un santuario c’è sempre stato, come spesso mi ripeteva don Roberto Cesare, e lui stesso citava i suoi due predecessori. Un santuario c’è sempre stato, mi diceva, non c’è bisogno di altro. Un santuario esistente da sempre, come è ben facile arguire.

Un santuario, appunto. Non i santuari. Appare facile intuire come laddove vi siano molti santuari è molto probabile non ve ne sia neanche uno, a meno di pensare a una ciclopica presenza di tanti e tali segni di santità diffusa da giustificarne l’istituzione. Che, in questo caso, è stata simultanea.

Culto moianese sminuito

Molteplici santuari tutti istituiti all’unisono e senza alcuna volontà di operare le differenze cospicue che il caso pure avrebbe imposto. Mi chiedo infatti quale sia il senso di elevare a santuario luoghi i quali non hanno mai avuto alcun segno di significativa e provata presenza cultuale.

A ben vedere, appariva legittimato storicamente e culturalmente alla ipotesi di santuario, il solo culto moianese. Il quale, non è difficile capirlo, ne risulta paradossalmente in qualche modo sminuito proprio in ragione di questa forma di apparentamento con altri luoghi del tutto disomogenei per le caratteristiche che ho cercato di ricordare prima.

E conseguentemente a questo, non sembrerebbero affatto peregrine le recriminazioni che eventualmente dovessero sortire da parte di più di qualcuno. Naturalmente è legittimo da parte di un vescovo istituire quel che più gli aggrada, come e quando egli desidera. Altrettanto legittimo è però cercare di capirne le ragioni ed evidenziarne le eventuali criticità.

Nel frattempo, sembra che l’amministrazione comunale di Moiano minacci di permettere l’atterraggio di un velivolo alieno in forma di madonna nera sulla rotonda di contrada San Giacomo, di per sé già non precisamente accattivante.

Ma sono persuaso si tratti di una notizia priva di fondamento, gli amministratori pro tempore sono infatti persone serie e non inclini a simili squisitezze, specie in presenza di ben altre e puntuali urgenze. In ogni caso buon anno a tutti noi, forse faremo ancora in tempo a meritarcelo.

Giacomo Porrino