Moiano: breviario elettorale di Giacomo Porrino
Dieci regole per chinque voglia cimentarsi nella prossima competizione elettorale
Moiano: breviario elettorale di Giacomo Porrino. Sento il piacere di ringraziare pubblicamente tutti gli ardimentosi che negli scorsi giorni mi hanno proposto di essere parte di una compagine elettorale per le prossime elezioni comunali di Moiano e Luzzano.
Contributo silenzioso
Il mio contributo per questi luoghi, come i più attenti sapranno, è stato svolto silenziosamente perlomeno dal 1993, ma ben per questo sono convinto di come ognuno per la propria parte debba svolgere di necessità un ruolo diverso.
Per quanto mi riguarda, fortunate senex, non è quello elettorale. Che è più corretto e utile sia svolto da persone in grado di interpretare molto adeguatamente un compito simile. Non è possibile essere tutto, fare tutto, dire tutto. Non è evidentemente possibile neanche per quelli effigiati da attribuite sulfureità infernali.
Rivolgo tuttavia i miei auspici e la Mia considerazione per tutti quelli che sentiranno di proporsi per un lavoro così importante e delicato. Ho avuto un padre che tra gli altri suoi impegni nella vita ha assunto per qualche tempo anche quello di amministratore pubblico, qualcuno ancora forse lo ricorderà. E dunque conosco abbastanza bene quanto sia molto complicato, ispido, frustrante, oneroso amministrare.
Cercando di farlo al meglio che si può, s’intende. Ben per questo ho pensato fosse di qualche utilità stilare dieci piccoli suggerimenti a beneficio di tutti i prossimi candidati. Al solo scopo di fornire qualche argomento di discussione e di sperabile approfondimento.
Il vademecum da tenere nella cassetta degli attrezzi
Un piccolo vademecum da tenere presente nei momenti di insicurezza, una cassetta degli attrezzi grazie alla quale sia sperabile evitare qualche svarione grossolano, un silenzioso breviario elettorale ad uso della spiritualità comiziante prossima ventura.
1. Evitate la lista dei sogni nel cassetto. Quel cassetto è di già molto tarlato da tempo, ricolmo di balconi in fiore, scenari amalfitani, prese della Bastiglia e altre prurigini velleitarie buone solo per sprofondare nella insensatezza. E nella noia.
2. Non parlate di programmi, quelli sono da demandare ad ambiti e circostanze molto diverse da una competizione amministrativa locale. Se potete, se ne avete, parlate di idee. Ché queste servono per amministrare un comune di simili dimensioni, non certo le paginate in stile dichiarazione dei diritti universali.
Oltretutto inevitabilmente lette da nessuno. Quante volte, nelle campagne elettorali del passato, remoto e prossimo, abbiamo dovuto cestinare le discariche parossistiche di carta mortificata da parole inutili, vacue, bugiarde già solo nel loro presentarsi? Programmi che sovente non erano neanche conosciuti dagli stessi candidati. Sono certo che ancora in molti lo ricordino.
3. Ove si tenessero ancora dei comizi, o la loro declinazione tecnologica attuale con gli strumenti messi a disposizione dalla Rete, evitate accuratamente di leggere i soliti temini scritti da altri. Temini scritti peraltro male e letti peggio.
Mortificante per chi sale sul palco e molto più per chi vuole ascoltare. Se non si è capaci di parlare in pubblico – rivelo un segreto formidabile – è bene non farlo. Un comizio è un luogo serio, dove in generale si dovrebbero dire cose serie, non è una passerella dove esibire la propria presenza a tutti i costi, non di rado con sprezzo del ridicolo.
4. Siate quanto più possibile naturali, non rincorrete vanamente le esigenze dell’immagine. Spesso l’immagine, in un malinteso senso della comunicazione, è il modo migliore per smarrire ogni credibilità. Parlate a braccio, magari con tutti i limiti del caso.
È molto più efficace un errore sincero che una postura artificiosa e dunque deleteria per chi voglia essere preso sul serio. Quel che importa è avere qualcosa di fondato da dire. E dirlo. Non provate a rifugiarvi nelle carezze plasticose delle automazioni (quel che è attualmente nota come «intelligenza artificiale»), ce ne accorgeremmo subito e non ci fareste una figura precisamente brillante. Sarebbe come baciare delle labbra inusitatamente ricolme di silicone e pretendere si creda siano naturali.
La credibilità del candidato
Quale credibilità potrebbe mai avere quel candidato che si fa dettare le parole da un altro? Se non ha proprio niente di suo da dire, perché mai dovrebbe essere votato? Sulla base di che cosa? Per conseguire che cosa?
È un po’ come pretendere di guidare un gruppo di visitatori nella chiesa di San Sebastiano senza però conoscerla, e magari copiando malamente le parole e le conoscenze altrui, rivendicandole come proprie. Che senso avrebbe questo? Quale sarebbe l’utilità per gli altri? Si vota solo quella persona capace di portare quantomeno una suggestione plausibile, un’idea da cui partire. Il problema è però averla quella idea, quella suggestione su cui lavorare. Il problema centrale, non ulteriormente rimandabile, è proprio questo.
5. Non abbiate timore della polemica, quando necessaria. Una società che non sappia più polemizzare è una società già morta e deposta nella sepoltura ipocrita chiamata concordia. Abbiate però cura di non confondere la polemica con il pettegolezzo.
Molto più difficile la prima, poiché necessita di argomenti e di saperli portare. Molto più facile la seconda, resa facile dalla viltà del bisbiglio da cortile. Attività della quale molti, troppi, moianesi sono interpreti involontariamente magistrali da sempre.
Amo il mio paese
6. Evitate con ogni mezzo affermazioni che richiamino la parola amore, in ogni sua possibile declinazione. Troppe volte è toccato ascoltare e leggere affermazioni quali «amo il mio paese», «amo Moiano, amo Luzzano», «amo i moianesi, amo i luzzanesi».
Involontariamente comiche anzitutto perché neanche il frutto di un pensiero personale, per quanto sgangherato, ma residui prodotti di agenzia di comunicazione di infima caratura. Inefficaci, ipocrite, posticce, insignificanti. E soprattutto false. Perché non si può in natura amare un territorio che non si conosce. E dunque, di grazia, sarebbe il caso di chiedere come sarebbe possibile amministrare efficacemente un territorio comunale che in sostanza è ignorato.
Non è possibile amare quel che è incognito, e di cui in conseguenza poco importa. Pure sarebbe molto divertente chiedere ai prossimi candidati che cosa siano la grotta delle rondini, la fontana dei gentili, il Pontone, la corte giuliana, la bocca di Martella, l’Acquavivola e i Capitinoli, tanto per fare degli esempi.
Quanti sarebbero in grado di rispondere? Moiano e Luzzano non sono soltanto quattro strade urbane, ma un complesso territoriale articolato e non sempre così facile a gestirsi. E vorremmo noi affidarci a quel chirurgo che non conosce il nostro corpo sul quale si appresta a usare il bisturi, promettendoci la guarigione? Non dimenticate chi siete, tanto ci conosciamo.
7. E in conseguenza di questo, si eviti con ogni mezzo la confusione ferale tra turismo e cultura. Non si fa mai in tempo a ribadire la profonda differenza tra i due concetti che si presenta l’entusiasta di turno, impavido e bello di sé, il quale ancora una volta pronuncia stentoreo la solita brodaglia dello sviluppo «turistico-culturale» in relazione al famoso territorio.
Veramente non se ne può più. Sarebbe davvero il caso di abolire le due parole come parte di una stessa truffa semantica. Messe così, utilizzate in questo modo, per essere soltanto un arnese inesistente, non vogliono dire propro niente. E chi proporrà ancora una volta una simile fesseria, starà provando a ingannare ancora una volta gli elettori, oltre che se stesso. Turismo e cultura, in realtà, talvolta manifestano problemi e connotazioni che possono addirittura essere antitetici, specie se non gestiti con strumenti e professionalità adeguati.
La politica culturale, come la si chiamava un tempo, stante come si è attualmente ridotti, non ha quasi più senso. Anche in questo caso, prevalgono mendacia, ignoranza e velleitarismo. Oggi l’ignoranza si è impossessata del calamaio e pretende di insegnare a scrivere.
In una situazione del genere, parlare di cultura non ha più alcun fondamento. Non è percorribile, a patto di provare a ricostituire uno sperabile humus antropologico che possa favorire se non una rinascita quantomeno la speranza di riuscirci.
L’arcipaese
L’italia è da tempo franata in una forte crisi culturale, oggi degenerata in una conclamata emergenza cognitiva e qui da noi non vi sono eccezioni che tengano. Giorgio Bocca parlava dell’arci italiano, per parafrasi Moiano è chiaramente un arci paese. Nel senso cioè che non fa eccezione, fa media. Rotondamente.
Il turismo poi è argomento molto complicato e che implica professionalità e problematiche specificatamente tecniche, non prevede certo la improvvisazione di chi giocava con il flipper nel bar il giorno prima o di chi improvvisamente si ritiene visitato dalla grazia dello spirito santo per avvenuta esposizione pentecostale.
Non funziona così. Poi, per carità, si può sempre decidere altrimenti, come pure abbiamo visto in tanto tempo, ma i risultati non vengono. E poi tutti a chiedersi, muniti di labbra pendule, l’impenetrabile mistero sul perché.
8. Quelli che saranno eletti nella minoranza abbiano la buona cura di farla. Ma per davvero. Un consesso consiliare privato del ruolo effettivo della minoranza è di fatto delegittimato. E con esso, l’intero corpo elettorale che lo ha in qualche modo espresso.
Questo è bene sempre ricordarlo specialmente ai diversamente astuti pervicacemente infoiati dalla tentazione plebiscitaria. Con gli evidenti pericoli che questo presenta. Si sa, come pure abbiamo avuto modo di vedere più volte nel corso del tempo, un autocrate difetta di autocritica. E tende a dissimulare, eludere, schivare, finanche impedire le critiche.
Di quei pochi altri cioè ancora in grado di esprimerne. Nel contesto del degrado antropologico di una comunità ormai patentemente mostrificata, l’indifferenza è il pilastro si cui si reggono le ambizioni di vecchi e nuovi aspiranti satrapi locali. E di grandi, piccole e microsatrapie si muore.
Per dire di quanto decisivo sia il ruolo di qualsiasi rappresentanza realmente oppositiva, per dire di come ogni sindaco eletto dovrebbe in realtà sempre auspicarsi una minoranza consiliare autenticamente forte e motivata.
Chi è chiamato a svolgere il ruolo della minoranza consiliare, che per alcuni aspetti riveste un’importanza maggiore di quella del sindaco, lo faccia con ogni energia senza lasciarsi tentare dalla blandizie di quelli che aspirano solo a ottenere le briciole che il potere locale benignamente intende concedere. La minoranza consiliare deve essere dura, pertinace, intransigente, asfissiante, assordante, irrefutabile, irredimibile. Solo una opposizione credibile fa di un sindaco, un sindaco migliore.
L’intolleranza verso il dissenso
9. Chiunque prevalga dopo il conteggio delle schede usi la solenne cortesia di non manifestare intolleranza verso il dissenso, quale che esso sia. Ignorare, marginalizzare, demonizzare, escludere, o peggio, intimidire chi porta opinioni diverse non è solo insopportabile perché lesivo di un fondamentale principio di civiltà.
È anche sontuosamente stupido, perché priva l’amministratore di un contributo di intelligenza potenzialmente molto utile. Molto utile, infine, soprattutto a chi, quell’amministratore, lo ha scelto. Non è complicato da capire, suvvia.
Vietato farsi arrestare
10. Considerato quanto accade nel resto d’Italia in questi ultimi tempi, evitate accuratamente di farvi arrestare. Ciò sarebbe oggettivamente poco simpatico e porrebbe in imbarazzo i vostri compagni, che si vinca o si perda.
Alekos Panagulis ha detto che anche quando si è consapevoli di perdere bisogna battersi lo stesso. Perché non è importante vincere o perdere, è importante battersi. Ma in questo momento chi è chiamato a battersi non sono tanto i candidati, ma proprio gli elettori.
Sarà cioè necessario tornare a vedere, senza più limitarsi al solo guardare. Tornare a impossessarsi del proprio ruolo di attori sociali autodeterminati, capaci di rivendicare la definizione di un orizzonte esistenziale, quale che esso sia.
Evadendo dalla galera della rinuncia alla partecipazione pubblica. Se così non accadrà, vinceranno sempre i peggiori. E vinceranno sempre finché gli elettori anziché fermare la ruota correranno sempre più veloci, più veloci dei criceti.