Valle Caudina: De Sphaera

Medioevo, venttunesimo secolo e le frasi del presidente del senato

Redazione
Valle Caudina: De Sphaera

Valle Caudina: De Sphaera( di Giacomo Porrino ). Seguendo l’immagine ampiamente consolidata che si ha del Medioevo come quel  momento della storia in cui fu massima la regressione culturale, scientifica, antropologica, artistica, dovremmo trascorrere buona parte del giorno a benedire la sorte che ci ha portato a vivere il tempo presente.

Un tempo che si pretende ricolmo di progresso culturale, sociale, scientifico, antropologico, artistico come mai la storia del mondo ha conosciuto. Dovremmo vivere in letizia pensando quale ingente pericolo avremmo evitato.

E invece manco per sogno, come sanno anche i distratti avventori della storiografia, il Medioevo è stato in realtà una gigantesca propulsione culturale grazie alla quale ha avuto slancio la costruzione della civiltà moderna.

Il buono di quello che viviamo oggi lo dobbiamo in massima parte proprio a quel Medioevo a torto ancora percepito tetragono, oscurantista, superstizioso, ignorante. Ancora oggi molti pensano che durante il Medioevo gli uomini fossero convinti che la Terra avesse la dimensione di un disco, che fosse piatta, accennando a un gesto di sufficiente derisione. Purtroppo per costoro è vero l’esatto contrario, come tanta e buona storiografia ha già dimostrato.

Basterebbe solo leggerne, di quando in quando.

Ma veniamo al punto, Giovanni di Sacrobosco scrive intorno al 1230 il suo celebre Tractatus de Sphaera, o De sphaera mundi, e diviene rapidamente uno dei testi di riferimento per la formazione scientifica presso tutte le università europee del tempo. Perché, è utile precisarlo, se oggi vediamo scorrazzare legioni di terrapiattisti gaudenti e con sprezzo del ridicolo, nel Medioevo invece lo sapevano bene come la Terra non fosse precisamente piatta.

La seconda carica dello stato

Ma qui giunge il punctum dolens, che duole non poco a quelli che abbiano ancora la possibilità di rendersene conto. Giovanni di Sacrobosco scriveva nel XIII secolo il De Sphaera, noialtri nel XXI abbiamo eletto alla seconda carica dello Stato un individuo chiamato La Russa. Del quale la letteratura in merito era già a dir vero sufficientemente ampia per poter scongiurare un simile sproposito. Ma noi, che non viviamo nel torbido Medioevo, non ce ne siamo accorti. O, peggio, abbiamo lasciato fare.

Di costui si dispone già di nutrito abaco di aneddotica, sappiamo bene chi sia e tuttavia è ancora lì. In condizione di esibirsi in spericolate arrampicate sui costoni della logica, della decenza intellettuale e della continenza politica. A dire della seconda carica dello Stato, il giornalista aggredito pochi giorni fa a Torino da teppaglia fascista, non si sa autorizzata da chi a tenere rituali inneggianti al delirio della morte di ogni idea, in fondo se l’è un po’ cercata perché non si è fatto riconoscere, non si è qualificato.

. Però, sia chiaro, al giornalista va la «totale solidarietà», ha dichiarato stentoreo il vice di Mattarella.

E a proposito del Presidente della Repubblica, si pensi, il solo superiore gerarchico dell’ineffabile Presidente del Senato, ha opportunamente – ma timidamente – ricordato che «ogni atto rivolto contro la libera informazione ogni è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica».

Vero, ma altrettanto vero è moralmente eversivo stringere la mano al presidente di uno Stato, quello israeliano, che esibisce fiero la propria firma sugli ordigni che saranno scagliati su una popolazione inerme, quella palestinese, macellata in pochi centinaia di metri quadrati. È un atto non più contro la Repubblica, è un gesto che si pone contro l’umano. Posto ve sia ancora uno.

Ma torniamo al vice presidente della repubblica, percorso da quella marziale sovreccitazione solitamente spalmata durante le parate militari a beneficio dei teneri da divisa. Ha detto che il giornalista avrebbe dovuto farsi riconoscere, come se noi tutti vivessimo in una trincea piena di posti di blocco.

Comprensibili le sue aspirazioni, ma contrastano con l’idea di una civiltà che in tutta evidenza gli è ignota. «Ci vuole un modo più attento di fare le incursioni legittime da parte dei giornalisti», così ha dichiarato senza esitazione il Presidente del Senato della Repubblica, testualmente.

E dunque, seguendo questa curiosa allitterazione della logica il giornalista avrebbe dovuto dire, scongiurando il pericolo di ridere, più o meno in questa maniera: «Buonasera, signore e signori fascisti. Sono un giornalista, ho la partita IVA e regolarmente iscritto all’ordine dei giornalisti, collaboro con La Spranga di Predappio. Il mio codice fiscale è PRR (omissis), risiedo in via Ignazio non di Loyola, 69. Potrei cortesemente documentare i vostri rituali riconducibili al ventennio fascista che nessuna procura ha mai osato perseguire?».

Non è possibile ipotizzare che cosa sarebbe accaduto nel caso in cui il giornalista fosse stato un comune cittadino, del quale evidentemente si nega finanche la possibilità di documentare quello che gli pare senza la necessità di essere munito di un qualsiasi tesserino.

Successivamente l’inesauribile La Russa ha cercato do precisare il suo pensiero, se vogliamo chiamarlo in questo modo. Riuscendo nel funambolico esito di peggiorare le cose. È plausibile tollerare ancora una seconda carica dello Stato simile?

È tollerabile sine die questa satrapia oligarchica disperata e arrogante che ci ha precipitati in una democrazia ormai ampiamente degradata in altro? Sono tollerabili quegli ex cittadini italiani, oggi solo comparse elettorali, che permettono la legittimità di questa sozzura immonda? Ogni giorno ci ricordano in tutti i modi quello che sono, chissà se adesso le anime belle, i sagaci della domenica, gli aspiranti Richelieu di provincia, i tenutari dei cortili, capiranno che con certa gente non si va a fare nemmeno una partita di pallone per beneficenza.

ToMmaso Montanari, che ho avuto il piacere di conoscere dieci anni fa proprio a Moiano durante il ricordo pubblico per il nostro comune amico Umberto Bile, ricorda proprio questo: «Siamo alle intimidazioni dall’alto. Come quando il presidente della Camera Rocco “consigliava” a Matteotti di condurre “prudentemente” il suo ultimo discorso parlamentare. Sono sempre loro, sono sempre così». Giova sempre ricordare che i fascisti sono quelli che volevano eliminare via Tito a Roma pensando fosse riferita all’ex presidente della Jugoslavia.

Storicamente i fascisti hanno sempre un «ma» pronto per ogni occasione. Si potrebbe definirlo come il «ma» apologetico di ogni violenza. un pretesto senza testo dietro il quale nascondersi per non ammettere la totale mancanza di ragione e argomenti. Se il giornalista si fosse qualificato, ammettiamo per un momento una tale ipotesi, forse non l’avrebbero aggredito?

Affermare che «ci vuole un modo più attento di fare le incursioni legittime da parte dei giornalisti», potrebbe somigliare in buona sostanza a quelli che ancora oggi ribadiscono la necessità, in caso di stupro, di capire se la vittima in fondo non se la sia andata a cercare. In ogni caso, La Russa, more solito, manifesta la totale estraneità alla carica che ricopre.

Dal De Sphaera a La Russa non sarebbe stato possibile immaginarlo neanche con il miglior Hubbard o Tolkien. E ciò non di meno è avvenuto, in barba a ogni presuntuoso ottimismo d’accatto. Noi ne siamo testimoni. Dovremmo esserlo, testimoni.

E un pensiero va ancora una volta ai parlamentari caudini che hanno votato un tale personaggio come seconda carica dello Stato, magari essendone pure gratificati, esibendo se stessi nel caravanserraglio delle rappresentazioni spettacolari a beneficio della propria vanagloria. Senza avere il minimo cenno di imbarazzo, per il quale come è noto è necessario disporre di una coscienza civile e politica.

Bisognerebbe ricordarlo. Bisognerebbe ricordarlo soprattutto a tutti quelli che li hanno votati. Ma per farlo occorrerebbe uno strumento fondamentale chiamato memoria. E in queste contrade, come altrove, non è dato ricordare neanche l’ultima digestione. Figurarsi vedere qualcuno porsi davanti a uno specchio chiedendosi: «Ma chi ho votato? Che cosa ho fatto?». E, chiedendoselo, resistere alla tentazione di insultarsi.

Ma per farlo, sarebbe necessario disporre ancora di una coscienza culturale, civile, politica. Una tensione perlomeno alla mera sopravvivenza. E io in giro, ne vedo sempre meno. in queste contrade come altrove.