Valle Caudina, La politica locale ai tempi del web: aspetti penali, diritto di critica e…gelati al veleno

Redazione
Valle Caudina, La politica locale ai tempi del web: aspetti penali, diritto di critica e…gelati al veleno

Valle Caudina. La vivacità della recente discussione politica, estricatasi – come è normale, ai nostri tempi- a suon di web e manifesti, ma soprattutto i dubbi sorti sulla liceità, anche penale, di talune affermazioni e/o insinuazioni a carico dei protagonisti delle amministrazioni locali, impongono una riflessione in merito ai limiti che incontra, nel nostro ordinamento, il diritto di critica politica. Scegliamo di farla pubblicamente, questa riflessione, senza avere la pretesa di insegnare niente a nessuno, ma nell’auspicio che, al di là della rilevanza penale delle accuse denigratorie, si possa arrivare ad un dialogo politico serio, scevro da scivoloni mortificanti per tutti, e, magari, anche un po’ più costruttivo.
E premettiamo che ci piace- non possiamo negarlo- che il web sia strumento di democrazia, di confronto, di dibattito politico. Ci piace, cioè, che si utilizzino gli strumenti di comunicazione di massa per esprimere opinioni, dissenso, proposte e critiche: questo tipo di diatriba troverà sempre il nostro placet, purché, però, sia rispettoso, nel suo esplicarsi, dei limiti della legge e del buon senso (e, ove possibile, anche della sintassi!). E’ normale, oltre che auspicabile, che la opposizione politica la si faccia coinvolgendo l’opinione pubblica, informando la collettività sulle deficienze dell’azione amministrativa, ed esplicitando eventuali controproposte (se ci sono!), potenzialmente volte alla massima realizzazione dell’interesse pubblico: questo è buon senso, ed è democrazia.
Tuttavia, siffatta attività, ed in generale la libera espressione delle proprie opinioni (anche politiche) e del diritto di critica, dovrebbe sempre essere effettuata nel rispetto della lealtà, senza arrecare pregiudizio all’altrui onorabilità e rispettabilità, almeno ove manchino elementi concreti per denunciare, all’elettorato ed all’Autorità, eventuali comportamenti e/o condotte importanti responsabilità politiche o addirittura penali.
Questo limite, oltre che dal buon senso, è imposto dall’art. 595 del codice penale, che così recita: “Diffamazione. Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, (dove è contemplato il reato di “ingiuria”, n.d.r.), comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032 .Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico [c.c. 2699] , la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516 .Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
La norma, – a differenza dell’art. 594 cp, che tutela l’onore o il decoro di una persona presente all’ingiuria, nonché a differenza del reato di calunnia, previsto e punito dall’art. 368 c.p., che sanziona chi porti a conoscenza dell’Autorità fatti penalmente rilevanti, assunti commessi da chi si sa essere innocente, e/o chi simuli, a carico della persona offesa le tracce di un reato, – tutela, la reputazione di un soggetto, ovvero l’opinione o la stima di cui un individuo gode all’interno della società; l’evoluzione giurisprudenziale ha consentito di configurare il reato non solo a carico di chi utilizzi parole “non vere e non obiettive”, per ledere la reputazione di terzi, ma anche espressioni “meramente insinuanti” (Cass. 10512/81), ovvero “subdole allusioni” (Cass. 4384/91). La norma, inoltre, attribuisce agli Enti collettivi, (quindi, agli Enti amministrativi, ai partiti politici ed alle loro rappresentanze locali), la possibile qualità di soggetti passivi, e dunque, la corrispondente titolarità del diritto di querela, che va ad aggiungersi a quella del singolo componente, eventualmente e direttamente offeso.
Ciò premesso, va subito chiarito che sulla configurabilità del reato incide l’esimente della “critica politica”, per cui talune espressioni, pur offensive, finiscono per essere depenalizzate, in ragione della “naturale vivacità che caratterizza la polemica, tra contrapposte posizioni politiche”, quando pertinente al potenziale interesse dell’opinione pubblica, ovvero quando abbia finalità di interesse sociale. Sotto questo profilo, costituisce scriminante anche la diffusione di notizie “non obbiettive”, giacchè la critica politica, per sua natura, altro non è che “un’opinione”, e, pertanto, “non può essere rigorosamente obiettiva ed imparziale, siccome espressione del retroterra culturale e politico di chi la formula”. Deve, tuttavia, “non essere completamente avulsa da ogni riferimento alla realtà sostanziale”, e, dunque, non tradursi in pura astrazione diffamatoria o invenzione congetturale, ovvero trovare riscontro in una corretta e veritiera riproduzione della realtà fattuale; mai, invece, deve concretizzarsi in una ricostruzione volontariamente distorta, preordinata esclusivamente ad attirare l’attenzione negativa dei lettori sulla persona criticata (in merito, Cass. Pen., sez. V, 17 marzo 2006, n. 9373).
L’ulteriore limite è posto dal principio della continenza della forma espositiva, così che l’offesa non si traduca in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale del soggetto passivo, ma sia “contenuta” nell’ambito della tematica attinente al fatto contestato, pur potendo essere pretestuosa ed ingiustificata, oltre che caratterizzata da forte asprezza (così Cass. Pen., sez. V, 27 gennaio 2011, n. 3047). Pertanto, il limite della continenza deve ritenersi superato quando le espressioni adottate risultino pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine della cronaca del fatto e della sua critica.
Tanto premesso, al di là degli aspetti penalmente rilevanti, la riflessione che probabilmente si impone riguarda l’ammissibilità “sociale” della denigrazione dell’avversario, ma anche la “credibilità” politica di chi la pratica, e che, per definizione, non racconta fatti obbiettivi, ma esprime opinioni. A nostro avviso, non si è mai visto che i toni offensivi ed avvelenati possano favorire quel “dialogo politico serio, scevro da scivoloni mortificanti per tutti, e, magari, anche un po’ più costruttivo” di cui parlavamo sopra…

Rosaria Ruggiero

Gentedistratta