Valle Caudina: Le “bottiglie” di pomodori

Redazione
Valle Caudina: Le “bottiglie” di pomodori
Dall'Egitto arriva il semilavorato di pomodoro contaminato

Valle  Caudina. Cinque lire ogni bottiglia riempita. Se riuscivi a farne venti, ti assicuravi uno splendido pomeriggio di fine estate, condito da partite a flipper o al biliardino e potevi arrivare anche in via Roma per comprare il gelato o la granita da Micione.  Ma che fatica riempire quelle bottiglie di pomodoro a spicchi.  Ti bruciavano le dita e prima di ottenere il via libera, dovevi passare l’esame di una severa matrona, per la quale la bottiglia, generalmente, quella di una gassosa o della Fanta, non era mai piena abbastanza. Secondo lei, bisognava spingere ancora di più. Non si è mai capito come ma lei era certa che ci fosse ancora spazio. Quello delle bottiglie di pomodoro a spicchi era una delle fasi di qualcosa che è andato scomparendo, negli ultimi venti anni. Parliamo della conserva dei pomodori, una sorta di istituzione in tutte le nostre case, scandita da regole ben precise. La fine di agosto e i primi giorni di settembre era il suo momento. I pomodori arrivavano dalla campagna ed iniziava la prima fase. Dovevano essere ben lavati e lasciati ancora qualche giorno a maturare. Quando era arrivato il loro giorno, il pomeriggio prima si passava al lavaggio delle bottiglie, con acqua fredda e soda. A quel punto, la sera a letto presto, perché la sveglia sarebbe suonata prima dell’alba. Non ho mai capito perché si dovesse iniziare tanto presto, ma non erano ammesse discussioni.
Quel lavoro impegnava tutta la famiglia e non solo. Partecipavano, infatti, anche tutte le vicine, tanto da stabilire una sorta di calendario per queste incombenze. C’era chi pensava al fuoco, chi ad inserire il basilico nelle bottiglie, anche quello ben lavato, chi passava i pomodori con la macchinetta a manovella e chi riempiva le bottiglie di salsa.
Era una vera e propria catena di montaggio, dove tutti avevano compiti ben precisi. E tra loro c’era sempre una matrona che guidava, come un inflessibile direttore di orchestra. A noi piccoli, era affidato il compito di non dare fastidio e di riempire le bottiglie a spicchi. Fatto questo, le bottiglie venivano riposte in grandi bidoni  e sotto si accendevano grandi fuochi.
Bisogna dire che nel riporre le bottiglie, sotto voce, venivano pronunciate frasi segrete per allontanare il malocchio. Frasi che pronunciava la donna più anziana, mentre le più giovani, rigorosamente di nascosto, la prendevano in giro. Quando il fuoco diventava brace, spuntavano peperoni e pannocchie da arrostire.
Poi le bottiglie venivano lasciate nei bidoni per più di un giorno, sino a quando non venivano riposte per essere aperte, durante l’anno. Solo pochissime famiglie mantengono questa tradizione che era un vero e proprio rito collettivo che, certamente, i nostri ragazzi non conoscono. Stamattina, ho incontrato un amico, il quale mi ha detto che era in ferie proprio per aiutare la moglie a fare “le bottiglie”.
Lui non lo sa ma avrei voluto abbracciarlo.

Peppino Vaccariello