Airola: L’ultimo Agano testo e fotografie di Giacomo Porrino
Airola: L’ultimo Agano testo e fotografie di Giacomo Porrino. cronaca della chiusura del faro della valle caudina. Appena due giorni fa, un giornale locale in Piemonte ha riportato la notizia della chiusura del convento passionista di San Cassiano a Cameri, in provincia di Novara. Nella elencazione dei conventi già chiusi in precedenza si cita come tra i più noti quello di San Zenone degli Ezzelini, in Veneto. Presentato come il luogo che reca l’onore di custodire la memoria della venerabile Elisabetta Tasca Serena, madre di dodici figli, quattro dei quali religiosi. Il nostro articolista s’è fermato evidentemente molto prima di Eboli, ipotizzando non vi fosse nient’altro di più significativo da portare come termine di paragone.
Ora, con tutto il dovuto rispetto per gli Ezzelini e per la venerabile Elisabetta, qui si parlerà di un luogo sede d’un vero culto micaelico che rimonta le proprie origini intorno alla metà del X secolo, in quella grande congerie di diffusione del culto dell’arcangelo tanto decisivo per la storia della cristianità e per la stessa civiltà occidentale.
Tutt’altra faccenda proprio
Ciò malgrado, questo aspetto di per sé potente e dirimente non è bastato a evitare la chiusura di un convento che non ci mostra semplicemente il ritiro di un ordine religioso, ma qualcosa di più complesso e vasto da non poter essere compreso nelle tabelle di un capitolato d’economia.
Vero è che nel novero dei siti da chiudere per evidenti difficoltà gestionali, quello di Airola si immagina fosse solo un punto geografico tra i molti di questo Sud. Ma un punto grande, a dir meno, mille anni.
Sono veramente pochi in Italia, volendo assumere una valutazione prudente, i siti conventuali passionisti che portano il carico di tanta storia quanto quello di Airola. Già solo considerando l’eredità spirituale e culturale degli ordini conventuali che hanno preceduto il loro arrivo sul finire del XIX secolo. Dopo Falvaterra, che è stata a lungo la sede della Provincia centro-meridionale dell’ordine, Mondragone, Calvi Risorta, Pontecorvo, Casamicciola e altri ancora, è infine toccato ad Airola.
Il rammarico di padre Amedeo De Francesco
È comprensibilmente rammaricato padre Amedeo De Francesco, l’ultimo superiore del convento di San Gabriele a Monteoliveto in Airola. Colui che chiude la storia della presenza dei padri di San Paolo della Croce in queste terre, una storia iniziata da quella predicazione nell’ormai indistinto 1882 e terminata la mattina del 9 novembre di quest’anno, quando ha lasciato per l’ultima volta l’ingresso del convento di San Gabriele arcangelo di Airola per raggiungere quello del Sacro Cuore di Gesù a Forino, in provincia di Avellino.
Ma la rabbia cortese diventa un capitello composito, dove è possibile scorgere insieme la mestizia, il disappunto, la rassegnazione e il senso di obbedienza cui in ogni caso deve attenersi. «Ho battezzato persone che tempo dopo mi hanno portato i loro figli da battezzare, e di quegli stessi figli che ho battezzato ho successivamente celebrato il matrimonio. L’altro giorno ho celebrato il matrimonio di una ragazza che avevo battezzato dopo avere celebrato il matrimonio dei suoi genitori. Mi trovo qui dal 28 ottobre 1979».
Mi accoglie, padre Amedeo, uomo di buon fondo come avrebbe detto Goldoni. Qualità di cui proprio questi ultimi giorni della sua permanenza a Monteoliveto sono state prove viventi l’affetto e il dispiacere delle persone che si sono accalcate per portargli un saluto, un commiato, un arrivederci, un semplice abbraccio.
Il Faro della Valle Caudina
Mancavo da queste mura da molto tempo, perlomeno dai tempi in cui padre Scanzano mi ha attratto nel 1988, per approfondire i temi toccati dal suo «Faro della Valle Caudina». E ci incamminiamo quindi fra i perimetri murari del faro, robusti addentellati di una longevità non soltanto architettonica, ma ben più del segno storico e della marca territoriale di un luogo che ha rogato il calendario di una intera vallata per più di dieci secoli.
Posto lungo l’area di sèdime delle strutture difensive della terra antica di Airola, il convento è stato preso a dimora nel tempo da cluniacensi, commendatarii, olivetani, verginiani e infine passionisti.
Il primo livello, quello del claustro seicentesco successivamente incorporato in strutture murarie che ne hanno alterato l’architettura, è tuttora incorniciato da corridoi che accolgono i passi del suo ultimo abitatore, come un silenzioso picchetto d’onore fatto di porte e suppellettili.
Ma è il silenzio l’artefice invisibile di questo spazio ormai mutilo di presenze umane, restano solo quelle intangibili consegnate alla memoria del luogo. E sono tante se si pensa alla cronologia così cospicua in cui il convento di San Gabriele sulla collina, che solo successivamente prenderà il nome di Monteoliveto, ha misurato il tempo storico delle comunità della Valle Caudina.
Padre Amedeo mi ricorda i gravi danni all’impianto elettrico causati da un fulmine lo scorso marzo e quelli seguiti a un incendio che ha in parte danneggiato il piano superiore lo scorso dicembre 2022. E proprio salendo al piano superiore mi introduce alla biblioteca.
Il complesso bibliotecario
Un complesso bibliotecario di grande pregio, uno scrigno di rimarchevole sfarzo culturale il quale raccoglie in larga parte il patrimonio librario che in buona sostanza parla il linguaggio della permanenza olivetana a San Gabriele. Attualmente la biblioteca risulta inventariata e presente nel circuito dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico (ICCU).
Il superiore mi rivela anche come avesse fino a poco tempo fa pensato di allestire piccole sale di consultazione utilizzando alcune celle dismesse. Piccole sale ma con un panorama infinito sulla valle. E scorgo poi, nei locali dell’ex coro, materiale librario proveniente dai soppressi conventi di Casamicciola e Calvi Risorta.
Allo stato delle cose mi viene detto siano ancora in corso di inventariazione. E come è agevole comprendere, anche questo mostra quanto sia irrimandabile affrontare sistematicamente il problema della gestione dei fondi librari provenienti in special modo dai siti conventuali abbandonati.
Lasciando con qualche fatica la biblioteca, dopo aver cercato di scorgere ogni titolo prezioso per il tempo del mio passaggio dinanzi quelle scansie, percorriamo i corridoi degli alloggi. E sembrano la decalcomania dei loro abitatori, ancora ne serbano l’impronta.
Calchi pompeiani di una comunità
Per certi versi si potrebbe dire siano, queste celle, i calchi pompeiani di una intera comunità conventuale. Ormai consegnata alla sola curiosità di quanti non riusciranno a eludere l’indefettibilità di chi voglia vedere, non fermandosi al solo guardare.
Dopodiché usciamo su una delle due terrazze dalle quali si assiste alla rivelazione di una tra le occasioni panoramiche più sorprendenti di questa terra. Il coro visivo in un solo, grande spargimento di bellezza che coinvolge Moiano, il monte Porrito che chiude la Valle Caudina e introduce la Valle dell’Isclero verso Sant’Agata dei Goti, il massiccio del Taburno, il ritiro di Santa Maria del Taburno, il primo ponte dell’acquedotto Carolino a Trepponti, le sorgive del Fizzo, Montesarchio, Squillani, Roccabascerana, il Partenio fino ai monti che chiudono la Valle verso Arpaia.
La Valle Caudina in un solo sguardo
C’è tutto un palinsesto storico e geografico in questo vedere, c’è ogni cosa occorra per scorgere in nuce la diacronia poderosa di una terra importante nel cuore della Campania. E tutto questo lo si può tenere in un solo sguardo proprio sulla collina di Monteoliveto dove, eccettuando gli episodi rupestri del Taburno, ci sono pervenuti i segni storico-artistici più preziosi e antichi della Valle Caudina.
«Vedi lì, dove oggi sorgono quei palazzi rossi? Ecco, una volta c’era campagna, c’era tutto tabacco. Lungo Via Lavatoio non c’era niente. Guarda il Taburno, che magnificenza. E guarda a sinistra, la chiesa e il campanile di San Pietro apostolo a Moiano di sera si vedono magnificamente».
La chiesa di San Gabriele del X secolo
Come per la biblioteca, lasciamo a fatica anche il paesaggio luminescente per recarci proprio dove tutto è iniziato, la chiesa di San Gabriele del X secolo. Scendiamo usando un ascensore di cui il convento si è dotato nei tempi recenti, anticamente era adoperato lo scalone ancora oggi esistente.
Le strutture che attualmente danno accesso alla chiesa antica non sono, come erroneamente si pensa, quelle del convento antico. In realtà la fondazione della chiesa precede ampiamente quella del convento, e le sue rimanenze andrebbero opportunamente rinvenute attraverso una adeguata campagna di archeologia medievale. L’accesso attuale altro non è se non il piano cantinato della struttura seicentesca della fase olivetana.
Entrando in quel che resta della chiesa antica, malgrado la prepotente invasività dei muri di sostruzione delle strutture successive, possiamo in un istante trovarci nel pieno della cultura bizantina, in una piccola ma portentosa porta dell’Oriente, nella iconostasi culturale di un mondo ormai del tutto lontano e tuttavia grazie a tali permanenze ancora oggi vivente malgrado l’oblio che l’ha ottenebrata e messa al sicuro.
Unicum tra Oriente e Occidente
Gli avanzi del ciclo di affreschi sono di eccezionale rilevanza per quanto attiene il novero della pittura medievale nel Meridione, una singolarità di caratura europea. Gli studi fondamentali di Hans Belting del 1968, sono stati successivamente approfonditi da Simone Piazza, il quale non ha mancato di far notare come essi si pongano, per ragioni che necessiterebbero di tempi e spazi diversi da questo, come un vero unicum fra Oriente e Occidente.
Una insospettabile cerniera culturale e religiosa tra due mondi oggi percepiti ineffabilmente distanti. Insospettabile e sorprendente anzitutto alle popolazioni locali, tutti quei caudini che hanno voluto vedere questo luogo così accattivante quando con padre Amedeo è sorta spontaneamente l’idea di mostrare tali meraviglie a coloro che pur vivendoci quasi accanto non sono mai stati investiti dalla loro importanza. D’altronde, come già detto molte volte, Il fenomeno della banalizzazione del quotidiano non contempla alcuna deroga.
Risalendo attraverso il giardino, torniamo a scorgere il complesso della chiesa e del campanile del XVII secolo. Altro frammento pregevole del convento, un raffinato episodio di architettura barocca di eleganza compiuta e purtroppo anch’esso presentemente bisognevole di restauri, così come buona parte delle strutture conventuali.
E quando ho chiesto al mio cortese conduttore a quale destino sarebbe andato incontro tutto questo senza nemmen il conforto di una presenza che ne segnalasse l’urgenza riguardo gli irrimandabili restauri, mi ha risposto epigraficamente, non meno che autenticamente: «A te non serve che te lo dica, lo sai già».
Ed è proprio da questa risposta, priva di ogni ipotetica acedìa, che parte il discorso legato alla nostra attualità. È vero, gli ordini conventuali segnalano già da tempo la loro difficoltà sempre più ingente nel cercare di gestire un patrimonio considerevole costituito di molti siti, sovente importanti e di gestione perlomeno complicata dal punto di vista economico.
Ed è questo un tema che giocoforza si imporrà progressivamente alla attenzione generale nei prossimi tempi (sperabilmente, s’intende), quello della dismissione di centinaia di luoghi e siti di fondazione conventuale che nella maggior parte dei casi implicano un preminente valore culturale, storico, storico-artistico, geografico, antropologico.
Conventi -musei
Si tratta cioè di conventi che sono al contempo dei veri e propri musei, portatori di vicende ultrasecolari che ci pongono di fronte a responsabilità ineludibili. Responsabilità che neanche lo statuto giuridico delle proprietà rendono meno urgenti, anzi ben per questo ci obbligano coge pedem a non poterle aggirare ulteriormente.
Al momento tale problema non ha ancora investito il dibattito pubblico come meriterebbe, ma non sarà possibile distrarsi troppo a lungo da una fenomenologia per alcuni versi esclusivamente italiana e completamente incardinata nella nostra contemporaneità. E tornando ad Airola, al convento di San Gabriele, che cosa pensare di farne in un momento nel quale sarà ben difficile ipotizzare l’ingresso di un altro ordine monastico?
Intesa per l’utilizzo
È un rompicapo complesso ma non di impossibile soluzione. Napoleone non ha più la possibilità di requisirlo e incamerarlo allo Stato, ma ciò non impedisce certo di trovare con l’ordine di San Paolo della Croce, che resta proprietario del complesso, una auspicabile intesa per un suo utilizzo volto al beneficio della comunità. Una comunità, non solo quella di Airola evidentemente, la quale molto potrebbe giovarsi di una sede che per sua vocazione ha quella della multidisciplinarietà funzionale.
Un polo bibliotecario di rilevanza regionale, un giardino dove tenere regolari manifestazioni musicali, una chiesa barocca dove poter alloggiare il teatro e gli incontri pubblici costituendosi come naturale odeion, una chiesa antica dove volare senza aerei fino in Oriente, in uno con l’annunciata intenzione della amministrazione comunale di Airola di procedere al concorso di idee per il recupero definitivo del castello, potrebbero spingere queste terre verso una attitudine non più velleitaria, ipocrita e lamentosa di slanci autenticamente legati alla volontà di conoscenza dei visitatori
Il momento di farsi avanti
Ma per fare tutto questo è propedeutico presentare una proposta credibile, realistica e non improvvisata che permetta all’ordine di prendere in considerazione un eventuale, e grandemente sperabile, comodato d’uso. Abati non ve ne sono più, arcangeli nemmeno. E a questo punto non vi sono più nemmeno scuse, è il momento di farsi avanti, tra quanti nella possibilità di farlo, per entrare in una fase nuova della storia di questa piccola ma preziosa collina. Viceversa, inizierà invece un’altra storia. Quella del suo abbandono, della sua dimenticanza e dunque della sua fine.
Padre Amedeo mi getta uno sguardo inequivocabile, quello di chi vorrebbe trattenersi ancora, preso da un insopprimibile profluvio aneddotico, ma che purtroppo è tenuto alle cose che solitamente attengono la chiusura di un convento.
Non facili, indesiderate, penose. Eppure un’ultima domanda mi sento di gettarla io in mezzo ai suoi occhi grandi e a più riprese scolpiti da emozioni autentiche. Gli chiedo se vorrà portare con sé un oggetto che ricordi questo sasso su cui è vissuto tanto a lungo. La sua risposta non attende la fine della mia domanda: «Tutto quello che porterò con me è dentro questi occhi che vedi adesso, non mi servirà altro».
L’ultimo Agano
E così se ne va l’ultimo Agano, consegnandosi all’ombra del portone d’ingresso. Agano, colui che a lungo è stato ritenuto il fondatore del primo convento cluniacense. In realtà non il primo ma quello più antico sia stato possibile documentare e soprattutto colui che ormai vive in una dimensione quasi metastorica nella sua teca di epifania micaelica.
Egli stesso, Agano, ormai frammisto a leggenda e distrazione. Se ne va l’ultimo Agano, controvoglia, non tanto perché l’abbia deciso il suo ordine di appartenenza. Se ne va perché a deciderlo è stata in realtà la dinamica dei processi storici che pervadono le decisioni degli uomini, siano essi mossi da buone o meno buone intenzioni.
Tra un ordine conventuale e l’altro, nella storia di San Gabriele, è trascorso finanche mezzo secolo, non è tecnicamente un evento che presenti caratteri sorprendenti. E tuttavia questa volta all’uscita di un ordine, per le ragioni di carattere generale cui accennavo, sarà molto improbabile faccia seguito l’ingresso di un altro.
La fine della storia religiosa di Monteoliveto
E sarà di fatto la fine della storia religiosa di Monteoliveto, l’ultimo lembo rimasto della tessitura antica di una città medievale non più esistente. E noi tutti, adesso, portiamo la responsabilità di evitare di seppellirlo nella vasta discarica di dimenticanze, nel silenzio di ciò che non è più.
Dunque l’insieme incredibile di una chiesa cluniacense, di dipinti bizantini di grande importanza, di una preziosa biblioteca, di un claustro seicentesco imponente, di una chiesa e di un campanile barocchi, rischiano oggi di sparire sotto il nostro naso perché i nostri occhi sono volti altrove, impegnati a guardare senza più vedere niente. Un altrove senza forme e senza destino se si cercherà conforto nel rifugio mefitico della indifferenza.
Molte volte nella storia è accaduto che luoghi anche importanti in un certo momento fossero poi abbandonati e negletti fino alla dimenticanza, è sempre accaduto (anche in Valle Caudina) e quello del convento di San Gabriele non sarebbe certo una eccezione.
La sola eccezione plausibile, a ben vedere, toccherebbe proprio a noi, dovremmo essere noi perché semplicemente accade oggi, nel tempo storico on cui noi viviamo. E non avremo alibi, neanche surrettizi, se non si riuscirà a trarre questo inaudito congegno temporale che è Monteoliveto dalla spoliazione del degrado.
Pessimismo sorvegliato
Scatto le ultime fotografie, segno gli ultimi appunti, un ultimo sguardo sulla valle dal giardino ed esco, il cigolio del cancello come ultimo oggetto impalpabile che porto con me insieme a un desiderio. Cioran diceva che dentro ogni desiderio lottano un monaco e un macellaio. Anche se spesso perdono entrambi, aggiungo io. E pur seguitando il cammino nella boscaglia di un pessimismo sorvegliato, tanto amerei essere sorpreso. Almeno per una volta.