Moiano: Prevedere l’inizio, appunti sull’arrivo del nuovo parroco

Arriva don Claudio Carofano

Redazione
Moiano: Prevedere l’inizio, appunti sull’arrivo del nuovo parroco

Moiano: Prevedere l’inizio, appunti sull’arrivo del nuovo parroco (di  Giacomo Porrino). Prevede sempre la fine: per non cominciare niente, sussurrava Elias Canetti. E sovvertendo con circospezione l’ordine logico del celebre scrittore bulgaro, si potrebbe dire che prevedere sempre l’inizio potrebbe promuovere il cominciare perlomeno qualcosa. E oggi di certo inizia l’apostolato parrocchiale di don Claudio Carofano a Moiano, ultimo attore di una storia lunga almeno fin dal XV secolo, quando un don Mango subentrava alla guida della cura d’anime della parrocchia di San Pietro apostolo.

Ma in franchezza sarebbe il caso di dire al nuovo parroco di non abbandonarsi a troppe illusioni. Troverà una comunità lacerata da rancori ormai prossimi al parossismo, da un livore concentrico, da una balcanizzazione emotiva di marca rusticana e tuttavia non meno violenta.

Troverà persone che non risparmieranno nell’investire in odio mentre saranno estremamente riottose a ogni forma di dialogo. Troverà, in sintesi, i segni di un decennio tra i più oscuri della storia di queste contrade. Guasti tanto profondi che, stante le cose, francamente non sono in grado di dire se sarà possibile siano emendabili completamente.

E negare l’evidenza non aiuta, anzi mostra ancor più evidenti i segni di questo dissesto cognitivo che solo cattive coscienze possono a questo punto cocciutamente e disperatamente provare a ribadire. Tutto è sotto gli occhi di tutti, di tutti quelli cioè ancora in grado di esercitare la libertà di opinione priva di interessi e ancora lontana dai miasmi della miseria culturale contemporanea.

Se è legittimo avere interessi è altrettanto legittimo esercitare il diritto alla memoria. La storia è una cosa seria, che prevede approcci e strumenti adeguati, non certo i balbettii di analfabeti armati di piattaforme digitali.

La libertà di parola non prevede fatalmente avere senz’altro un pensiero da esprimere, così come disporre di una forchetta non prevede necessariamente provare appetito.

Avrò maniera di entrare nel merito di questo tema più compiutamente in un altro momento. Mentire riguardo al futuro produce la storia, sosteneva Umberto Eco, ma mentire riguardo al passato (presente incluso), aggiungo con tutta la modestia del caso, produce solo menzogna.

Troverà una comunità rassegnata alla stasi regressiva, alla sfiducia in quel che di buono potrebbe ancora manifestare, che ha accettato di farsi zittire da un crocicchio di piccoli cortigiani e aspiranti tali. Una comunità vittima di se stessa, vittima senza alcuna attenuante generica. Poiché vittima della propria aspirazione al ruolo di carnefice.

Troverà una comunità ormai arresa alla mediocrità, essa stessa causa ed effetto di quella antropologia del degrado che cerco di segnalare da tempo, invano peraltro. Troverà per lo più persone abituate al bisbiglìo da cortile, alla consuetudine del silenzio complice, alla usualità del grossièr, alla accettazione dell’isolamento. Non la solitudine, che è ben altra condizione esistenziale, ma l’isolamento.

Troverà un culto mariano dalla lunga storia e di grande fascinazione, non solo religiosa. Troverà un monumento etnografico di grande preziosità da recuperare, da restaurare dopo non poche e inopinate alterazioni.
Troverà un tesoro votivo di grande rilevanza devozionale e soprattutto culturale da catalogare con accuratezza.

Troverà un patrimonio storico-artistico di rilievo, che dovrà cercare di tutelare con oculatezza e passione evitando dissennatezze dovute ad avventurismi scriteriati. Troverà dei bilanci da redigere, nel rispetto della comunità che li determina con le proprie offerte, e nel rispetto che i fedeli e cittadini dovrebbero a loro stessi nel chiederne conto minuziosamente così come sempre avvenuto.

Troverà infine un carosello di consiglieri pronti a dare buoni consigli poiché non più in grado di dare cattivo esempio, come cantava De André. Troverà qualcuno che con sprezzo del ridicolo gli parlerà delle tradizioni, della storia e del carattere locali, dei quali però ignora tutto. I pessimi consigli, purtroppo, portano solo decisioni pessime. L’abbiamo visto.

Troverà un luogo dove ormai non parla pubblicamente quasi più nessuno, tutti pronti alla stiratura delle nuove sottane e alle calunnie da cortile. Nuove pantofole da baciare si intravedono all’orizzonte, è la sola occupazione di costoro e già ci si appresta a mettersi in fila.

La frettolosa santità ipocritamente proclamata di prammatica ieri nei confronti dei predecessori, sarà altrettanto frettolosamente attribuita ai successori. Non v’è da dubitare in merito, accade peraltro ovunque seguendo un medesimo schema comportamentale in uso a chi solo persegue nella vita le geometrie del servilismo.

Le lodi di chi va via saranno presto sfumate nel tegame ipocrita di chi è più lesto nel servire che nel pensare. Di chi è più propenso alle comodità del piccolo conformismo che alle asprezze della sincerità. Troverà sulle prime, il nuovo parroco, qualcuno pronto a costruire muri che impediscano al vecchio di uscire e al nuovo di entrare, ma questo accade sempre. Tutto normale, s’è già visto in passato quanto fossero solide e sincere certe mura, nihil sub sole novum (niente di nuovo sotto il sole).

Per quanto mi attiene, posso soltanto augurare al nuovo parroco coraggio e pertinacia. Coraggio nel non cedere alle lusinghe di coloro i quali saranno lesti nel promettergli false amicizie e improbabili lealtà (non di lealtà avrebbe bisogno un parroco o un sindaco, ma di collaborazione intelligente), nel non cedere allo sconforto di uno stato dell’arte così manifestamente malconcio.

Pertinacia nel coraggio di provarci, malgrado tutto. Seguire una idea, cambiandola se necessario, sempre però seguendo l’intenzione di portare in ogni caso del buono. Posso soltanto augurare al nuovo parroco di saper parlare alle persone, quali che esse siano, di mostrare loro la bellezza del tornare a parlarsi, quale che esso sia.

Posso soltanto augurare al nuovo parroco di non percepire la parrocchia come un fortino entro cui asserragliarsi con pochi irriducibili pronti a farsi esplodere per fedeltà canina, con il cipiglio di pallidi pasdaràn del niente.

Posso soltanto augurare al nuovo parroco di essere parte di un ordito sociale che da troppi anni manca di ogni forma di interlocuzione, di ascolto autentico e non solo postulato, di attenzione sincera, di carità che non sia pelosa.

Posso soltanto augurare al nuovo parroco di rendere la sua nuova parrocchia un luogo aperto, un piccolo porto cosmopolita dove tutti possano variamente trovare un punto di riferimento, dove non sentirsi esclusi. Un luogo dove non limitarsi ad aprire porte di legno o di bronzo. Un luogo che non sia mai percepito come di proprietà esclusiva di un gruppo ai danni di una comunità.

Posso soltanto augurare al nuovo parroco di essere capace di rendere la sua nuova parrocchia uno spazio dove i credenti possano pregare evitando sommamente il pericolo di ritrovarsi in un contesto dove viga la sola ambizione agli esibizionismi, dove non sia tollerato alcun riflesso a quella spettacolarizzazione, ingenua e nefasta, che torce il sacro rendendolo macchietta invereconda.

Posso soltanto augurare al nuovo parroco temperanza e ostinazione nella ricerca delle ragioni diverse, anzitutto quelle del dissenso. Non negandole, inseguendo la vile e facile soluzione della censura, ma abbracciando anzitutto le ragioni dell’altro. Specialmente quelle ragioni di chi dissente con fondatezza e munito di argomenti rigorosi.

Posso soltanto augurare al nuovo parroco di considerare questo non come una semplice opzione, non come una benigna concessione, ma come una ineludibile necessità civile prima ancora che religiosa.

Posso soltanto augurare al nuovo parroco di essere capace di parlare a tutti, incluso i non credenti. Anzi, se si ha ancora interesse per le sacre scritture, a cominciare proprio da questi evitando ogni sciocca tentazione volta alla esclusione, alla discriminazione, alla demonizzazione.

Gramsci ha scritto che «l’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari», mentre Agostino da Ippona esortava a pensare agli eventi storici, negativi o positivi, come il viatico di una forma di salvazione.

Tra queste due opposte polarità di pensiero è forse troppo ambizioso immaginare una qualche speranza di sintesi? In attesa di scoprirlo, per certo sappiamo come anche domani torneranno i rintocchi del campanile di un piccolo paese del beneventano.

Laus Deo?