Valle Caudina: la camorra secondo la relazione della Dia
Non solo Ras nella valle Caudina. Il gruppo criminale dei Pagnozzi ha solidi legami con i Casalesi a Caserta e gli Sparandeo a Benevento oltre che avere importanti interessi a Roma, vedi inchiesta “Camorra Capitale”, dove da tempo alcuni componenti si sono trasferiti.
La nuova relazione della Direzione Investigativa Antimafia – secondo semestre 2014 – inquadra il clan, retto dai leader Gennaro e Domenico, come una piovra dai tanti tentacoli e pronta ad investire in business leciti e riciclare denaro sporco.
Una camorra, in pratica, che sa crescere e trasformarsi, riuscire a nascondersi e mettersi il “vestito buono”. Diventare così uno “strumento” per investire con alla base però sempre sangue e pallottole.
Il punto logistico di partenza è la valle Caudina, da sempre terra di origine dei Pagnozzi. Ma il clan “ha interessi criminali prevalenti nella gestione di sale giochi e punta all’infiltrazione negli appalti pubblici che riesce ad aggiudicarsi attraverso “appoggi” interni negli enti appaltanti”. E a tal proposito, il report della Dia riporta un’operazione dell’ottobre del 2014 nella quale viene alla luce come una ditta riconducibile ai Pagnozzi abbia vinto un appalto per la ristrutturazione di una scuola in un comune della provincia di Benevento.
Il gruppo ha stretto un’alleanza di ferro con gli Sparandeo, il clan che opera a Benevento città. Un legame sorto, più per altro, per il carisma dei boss dei Pagnozzi, che rimane uno dei più longevi clan camorristici campani. Anche se di rilevanza minore ma con interessi economici importanti, specialmente a Roma dove gli esponenti vi si sono trasferiti da anni. “I napoletani del quartiere” – venivano chiamati in un’intercettazione dell’indagine “Camorra Capitale” ( 61 arresti ad inizio 2015).
E la Dia ha riscontrato anche come il gruppo della valle Caudina sia collegato ai Casalesi, il gruppo più forte della provincia di Caserta. Il punto d’incontro è un professionista romano, esperto in riciclaggio di denaro sporco, come rivela un’indagine dell’ottobre del 2014.
Un professionista che operava “reinvestimento dei proventi illeciti e forniva appoggio per lo svolgimento di affari nel capoluogo laziale”.
Giovanni Sperandeo